Salve Governo Italiano,
mi chiamo Tesfay, vivo in Norvegia. Ho un fratello che, come me, viene dall’Eritrea. È arrivato in Italia il
3 ottobre 2013 sulla barca che è naufragata. Nostra sorella era insieme a lui, ma lei è morta
annegata, mentre lui è sopravvissuto. Insieme erano passati attraverso un
viaggio difficile e doloroso che dal
Sudan li ha portati in Italia. Sono stati rapiti in Sudan da un gruppo di predoni che minacciavano di tagliargli le orecchie e di ucciderli se non avessimo pagato un riscatto. Abbiamo fatto una colletta tra tutti i parenti, anche se non siamo ricchi. Alla fine li hanno liberati al confine con la
Libia. Hanno passato 21 giorni nel deserto, camminando a piedi fino a che sono stati catturati ed arrestati dalla polizia libica. Sono stati imprigionati per oltre due mesi. Per liberarli abbiamo dovuto pagare ancora.
Ora, in Italia, tutti sanno di mio fratello e degli altri quindici testimoni del naufragio, tra cui una ragazza di 18 anni, chiusi nel centro di accoglienza di Lampedusa. Io parlo con loro al telefono tutti i giorni e so che soffrono molto. Sono stati prigionieri in Sudan, poi in Libia, ora sono ancora prigionieri in Italia a Lampedusa.
Io sono stato su quell’isola a visitare i miei fratelli e la mia sorella subito dopo il naufragio ed è stato molto triste. Hanno visto morire i loro fratelli e le loro sorelle con i loro bambini. Credo che voi in Italia non mostriate empatia. A Natale avete liberato 170 persone e loro sono ancora li. Ora io mi chiedo perché? Perché sono ancora lì? Cosa hanno fatto? Erano stati disponibili a dare informazioni sugli scafisti, ma ora sembra che siano loro ad essere stati arrestati.
Nei prossimi giorni verremo in Italia, io e altri parenti di quei sedici ragazzi, per chiedere a voi, Governo italiano, come mai non li lasciate andare. Spero che riusciate ad aiutarli il prima possibile.