Da pochi giorni è ufficiale: nei prossimi tre anni spenderemo ventuno milioni di euro, ottocento euro all’ora, per garantire ogni giorno, a cura di “mamma” Rai, la programmazione televisiva a favore dei nostri connazionali all’estero.
È stato infatti pubblicato lo scorso 28 dicembre in Gazzetta Ufficiale il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, con cui è stata recepita la nuova convezione siglata tra il Dipartimento per l’informazione e l’editoria e la Rai relativa “all’offerta televisiva e multimediale per l’estero”.
Si tratta del rinnovo di un accordo, che servirà affinché italiani emigrati stabilmente o solo temporaneamente, possano godersi, natiche affondate nei propri sofà, un palinsesto tutto in lingua italiana, studiato ad hoc dall’azienda radiotelevisiva di Stato.
Ciò altro non è che la conseguenza di una legge dello Stato vecchia quasi quaranta anni, pensata, immaginiamo, col nobile fine di non lasciare soli i nostri connazionali all’estero. E di lenire, con adeguate dosi di tv, la loro nostalgia per il Belpaese, facendo così arrivare aria e clima italioti a migliaia di chilometri di distanza.
Sembrerebbe uno scherzo. Ma la questione è talmente seria che c’è addirittura una commissione di monitoraggio sulle trasmissioni per gli italiani all’estero. E che, in vista del rinnovo della convezione, ha fatto pervenire le proprie osservazioni al Ministero degli Affari esteri. Raccomandando una “valorizzazione di programmi a contenuto culturale ed informativo con una connotazione a più ampio respiro internazionale”, l’introduzione della sottolineatura dei programmi nelle principali lingue “per un maggior coinvolgimento dei cittadini stranieri interessati all’Italia, nonché “la valorizzazione delle esperienze degli italiani all’estero”.
Non si sa che modello di società e di organizzazione del sistema di informazione abbiano preso in considerazione i componenti della commissione di monitoraggio. E soprattutto se il panel di riferimento dei connazionali sia ancora composto da quella tipologia di migranti raffigurati in cartoline ricordo e poster in bianco e nero, che lasciarono a cavallo del ‘900 il nostro Paese in cerca di fortuna con la valigia di cartone tenuta chiusa con lo spago.
Sembrano considerazioni provocatorie. Ma se vengono usati sette milioni di euro all’anno con l’idea di confezionare programmi televisivi utili a non abbandonare a se stessi i nostri connazionali all’estero, c’è in tutta evidenza un problema di lettura su come sia evoluto il fenomeno immigratorio italiano oltre confine negli ultimi quaranta anni e su quali siano i relativi bisogni. Che, garantito da chi all’estero ha vissuto, non sono certo quelli di frullarsi il cervello davanti alla tv parlata o cantata in italiano!
Infine una proposta: nel 2016, approfittando del fatto che una massa abnorme di rottamatori avrà occupato gli scranni più alti del potere, si archivi questo spreco di denaro. E si utilizzino semmai quelle risorse per stabilizzare i precari-schiavi della Rai o per supportare, come fanno col proprio paese ad esempio Bbc e Zdf, l’immagine dell’Italia agli occhi di turisti e investitori internazionali.
Twitter: @albcrepaldi