Marilena Iorio, un anno dopo la laurea in biotecnologie mediche, è andata negli Stati Uniti per specializzarsi in un settore che nel Bel Paese non era ancora oggetto di ricerca. Grazie a un finanziamento dell'Airc è rientrata a Milano
A volte ritornano. Marilena Iorio è una giovane ricercatrice dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Un anno dopo la laurea in biotecnologie mediche ha deciso di mettersi in gioco e, preparati armi e bagagli, è salita su un volo per gli Stati Uniti, prima destinazione Philadelphia per fermarsi poi in Ohio. “Il periodo più lungo che ho passato fuori dall’Italia è stato di tre anni, ma ho fatto la spola per diverso tempo. Poi, grazie ad un finanziamento dell’Airc, sono tornata in Italia e adesso conduco un gruppo autonomo di ricerca. Mi occupo delle molecole MicroRna – spiega al fattoquotidiano.it – che hanno un ruolo fondamentale in tutti i tumori umani, incluso il cancro alla mammella”.
Quando è partita, come molti, pensava che si sarebbe trattato di un’esperienza a termine: “Inizialmente era previsto che il mio periodo all’estero durasse circa un anno, al termine del quale però ho deciso di prolungare la permanenza perché avevo diversi ed importanti esperimenti in corso che non avrei potuto portare a termine in Italia, ed è stato a questo punto che ho cominciato ad avere dubbi sul rientro, avvenuto poi in realtà principalmente per ragioni personali”. Marilena ha scelto di partire per specializzarsi in un settore che in Italia non era ancora oggetto di ricerca. Oggi, grazie a un finanziamento dell’Airc è tornata a Milano, la sua città. “Qui combino l’esperienza maturata negli Stati Uniti con quella dell’istituto che mi ospita”. Competenza e professionalità a parte, Marilena sa di essere stata fortunata. “È raro in Italia riuscire, da giovane e in modo meritocratico, a dirigere un proprio gruppo di ricerca in modo autonomo, per di più circondati da persone che credono nelle tue potenzialità”.
Ancora oggi quando parla della sua esperienza americana lo fa con entusiasmo: “E’ stata un’esperienza davvero forte da tutti i punti di vista – ricorda -, prima di tutto lavorativo: sono partita relativamente giovane, non avevo ancora 26 anni, per mettermi davvero alla prova, per capire quanto forte fosse la mia passione per questo lavoro e quanto fossi realmente tagliata per farlo”. È così che senza una solida esperienza lavorativa alle spalle, da neolaureata, si è trovata in un grosso laboratorio straniero, dove da subito ha cercato di dare il massimo per emergere: “E’ stata davvero una sfida, costellata di momenti difficili e frustrazioni, di nottate passate in laboratorio, ma anche di soddisfazioni, di conoscenze ed amicizie che resistono nel tempo. Senza contare il fascino di un Paese e di una cultura diversa. Ripenso con il sorriso anche ai momenti difficili trascorsi lì e alle iniziali figuracce di una ragazza che masticava decisamente meglio il francese dell’inglese americano!”.
La decisione di tornare non è stata semplice, sicuramente più difficile della partenza. Per un ricercatore dotato, talentuoso e giovane, all’estero ci sono tante possibilità che risultano impensabili nel nostro Paese. Spesso rientrare in patria significa rinunciare a strutture all’avanguardia, finanziamenti, considerazione e merito. Vuol dire andare incontro a un futuro incerto, stipendi risicati e una perenne gavetta. “Per me il ritorno è stata una scelta ponderata, dettata principalmente da ragioni personali”. Quando Marilena è partita, infatti, ha lasciato in Italia gli affetti più cari, incluso il fidanzato di sempre. Così, appena si è presentata l’opportunità di tornare, il legame ha pesato molto: “Avevo molti dubbi su cosa avrei potuto fare al rientro. Il finanziamento mi ha permesso di fare il lavoro che amo nel mio Paese”.
Marilena Iorio sa di essere un “caso fortunato e raro”, perché in Italia difficilmente viene concessa autonomia gestionale e finanziaria ad un giovane sotto i 35 anni, soprattutto nell’ambito della ricerca. “Sicuramente ci sono mille aspetti negativi nel sistema americano, ma al di là della maggiore disponibilità di fondi istituiti per la ricerca, mi sembra che venga applicato più di frequente un parametro fondamentale: la meritocrazia – spiega la ricercatrice -. E non c’è bisogno di andare oltreoceano, mi sembra che ci siano molti esempi anche qui in Europa. Ci sarà pur un motivo se tanti giovani scappano all’estero: scappano da burocrazia, nepotismo, baronetti che dominano la scena, assenza di fondi, conseguente precariato… Scappano, certo, portando sempre con sé un pezzetto d’Italia. Ma nella valigia”.
Il progetto che ha premiato lo studio di Marilena Iorio è disegnato appositamente per i giovani ricercatori italiani che si trovano all’estero. Perché se è vero che per la formazione di uno scienziato è essenziale maturare esperienza fuori dai confini, è altrettanto vero che per far rientrare i cervelli occorre creare un terreno adeguato.“Oggi, a parole, sono molti quelli pronti a scommettere sui giovani, ma chi lo fa concretamente è solo una piccola minoranza”. In Italia Marilena sta cercando di provare nuovi strumenti diagnostici poco invasivi. Al termine del suo studio, oltre ad una serie di dati fondamentali per indirizzare nuove terapie, si potrebbe arrivare a diagnosticare un tumore alla mammella con un semplice prelievo di sangue. “C’è molto da fare – conclude – e proprio per questo è importante il sostegno alla ricerca”.