Le paure di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil e Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, sul futuro dell’auto italiana dopo il colpo di Sergio Marchionne in America rendono bene l’idea del Paese nel quale viviamo. Chrysler è ora al 100% di Fiat e questo avviene con un esborso limitato del gruppo torinese per prendersi il restante 41,46% della casa di Detroit. Non dovrebbe essere necessario nessun aumento di capitale e i 4,35 miliardi di dollari sborsati arrivano in maggior parte dalla cassa di Chrysler. Un vero colpo da un punto di vista finanziario, che mostra l’abilità dell’amministratore delegato di Fiat a sapere trattare con i sindacati e i politici in generale.

Fiat è dunque sempre più americana e non tanto perché ora possiede il 100% di Chrysler, quanto perché il suo mercato è in maggior parte quello oltre Oceano. Le vendite in Europa sono asfittiche ormai da anni e in Italia ancora di più. Solo a dicembre si è visto il primo incremento di vendite dopo 43 (quarantatre) mesi di caduta. In Europa l’intero gruppo Fiat, che comprende Alfa, Lancia, Chrysler, Maserati, Ferrari e la stessa Fiat, è ormai il settimo produttore, con solo il 5,6% della quota di mercato in novembre. Solo lo 0,1% in più rispetto a Daimler e meno di Bmw. La Skoda, che fa parte del gruppo Volkswagen, ha venduto più auto rispetto a Fiat. Sono 44,6mila vetture vendute contro le 42,8mila della casa italiana nel solo mese di novembre.

Ma Fiat è diventato un produttore globale dopo l’acquisizione del 100% di Chrysler? La casa guidata da Marchionne, oltre ad essere il settimo produttore in Europa, è il quarto produttore negli Stati Uniti, dietro General Motors, Ford e Toyota. Nel solo mese di novembre ha venduto oltre 140mila veicoli, più di tre volte il numero di Fiat. Rimane invece leader in Brasile, un mercato che potrebbe avere dei problemi in futuro vista la crescente incertezza delle politiche governative ed economiche del governo di Dilma Rousseff. Fiat è totalmente assente in Asia, il principale mercato mondiale, dove si vendono 37 milioni di veicoli degli oltre 81 del mercato mondiale. Il Lingotto rimane dunque presente nei mercati che dal 2005 ad oggi hanno visto una riduzione delle vendite, mentre è quasi assente in quei Paesi che stanno crescendo.

Non è un caso che Volkswagen, Toyota e General Motors, loro sì dei produttori a scala globale, hanno una forte presenza in Asia ormai consolidata da anni. Ma torniamo ora all’Italia. Squinzi e la Camusso hanno la preoccupazione che Fiat possa lasciare l’Italia, commettendo di fatto un doppio grave errore. Di fatto Fiat non produce quasi più in Italia, poco più di 400mila veicoli nel 2013 sugli oltre 4 milioni prodotti da Chrysler–Fiat. Arrivano dunque un po’ fuori tempo massimo nelle loro dichiarazioni. L’Italia non è più un grande produttore di autoveicoli e questo non è colpa di Fiat, quanto della cecità politico–sindacale degli ultimi decenni. In Italia nel 2012 sono state prodotte meno auto che in Repubblica Slovacca e meno di un terzo di quelle prodotte in Spagna.

Ci sono grandi produttori spagnoli di automobili? No, in Spagna, l’unico produttore nazionale, Seat, è ormai tedesco di proprietà di Volkswagen. Si segnala che nell’ultimo anno – da gennaio a novembre – l’azienda ha visto aumentare le vendite di oltre il 10% e il numero di auto vendute è pari al doppio di Alfa Romeo e Lancia/Chrysler messe insieme sul mercato europeo. Bisogna seguire il modello francese, quello di sussidi al settore automotive per cercare di fare risalire la china al settore? Assolutamente no. La Francia è l’esempio di come sono stati buttati via i soldi per cercare di salvare Peugeot/Citroen, per poi arrendersi all’evidenza che il mercato è globale e che i cinesi di Dongfeng, che hanno acquisito il 25%, non sono così male.

La Francia produce meno auto della Spagna, avendo però buttato decine di miliardi di euro pubblici in sussidi. La grandeur nazionale serve ben poco come insegna anche il caso di Alitalia. In Italia, ci si è sempre solo affidati a Fiat perché era comodo questo intreccio tra politica e azienda. Marchionne di fatto ha rotto questo laccio, ma la politica e i sindacati non se ne sono ancora accorti. In Italia non ci sono produttori stranieri per gli stessi motivi per cui si allontanano sempre gli investitori esteri. In Spagna, invece, vengono prodotte auto giapponesi, tedesche, spagnole, francesi.

Il secondo errore di Squinzi e Camusso è quello di non essersi accorti che in Italia il problema centrale è di non avere investimenti stranieri; ma i lacci burocratici del mercato del lavoro, dell’eccessiva tassazione, dell’incertezza regolatoria non sono stati mai combattuti seriamente dalla classe dirigente italiana. La conseguenza? Fiat andrà in America perché lì è il suo mercato principale. Camusso e Squinzi rimarranno con il cerino in mano su una terra industriale ormai desertificata.

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