“Se il viceministro all’Economia – in questi tempi di crisi – si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. Se si dimette per motivi politici, grande rispetto: ce li spiegherà lui nel dettaglio alla direzione Pd già convocata per il prossimo 16 gennaio raccontandoci cosa pensa del governo, cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver fallito. Lo ascolteremo tutti insieme con grande attenzione, così fa un partito serio”. Matteo Renzi ha lasciato sfogare tutti, ha aspettato che giornali, commentatori, autorevoli dirigenti del Pd dicessero la loro e dopo – solo dopo – ha detto la sua.

Il neo segretario del Pd sull’annuncio di Stefano Fassina delle sue dimissioni “irrevocabili” sabato sera, con conseguente accusa a lui di “gestione padronale del partito” ufficialmente ha taciuto. Ufficiosamente ha lasciato trapelare che quella in conferenza stampa (“Fassina? Chi?”) era solo una battuta e che di certo non si aspettava che l’ex viceministro dell’Economia lasciasse. Di certo non ha fatto niente per fermarlo. D’altra parte i dissensi tra i due – personali e politici – in questi anni si sono sprecati. E il giorno dopo – a bocce (relativamente) ferme – mette i suoi puntini sulle i.

Chi si aspettava segni di pentimento, ammissioni di eccessiva leggerezza, persino parole di richiamo al dimissionario, è stato deluso. Renzi va avanti per la sua strada. E anzi, non risparmia le critiche (nel suo stile ironicamente feroce) all’altro. Fassina dovrà spiegare “cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver sbagliato”. Perché “sono i problemi dell’Italia che interessano al mio Pd, non i problemi autoreferenziali del gruppo dirigente”. Qualche elemento di autocritica? “Non cambierò il tono dei miei incontri con la stampa. Mai. Non diventerò mai un grigio burocrate che non può scherzare, non può sorridere, non può fare una battuta. La vita è una cosa troppo bella per non essere presa con leggerezza. Starò sempre in mezzo alla gente, continuerò a fare battute e a riceverle, ma mettendo al centro il patto con gli elettori, non gli equilibri dei dirigenti. Il Pd ha il compito di cambiare l’Italia, non di vivere un congresso permanente”. D’altra parte, non perde occasione di ricordarlo, lui deve rispondere ai 3 milioni di elettori delle primarie. Punto. E a capo.

L’effetto Fassina è il primo e il più tangibile del metodo-Renzi nella versione segretario che si sta chiarendo ed affinando giorno dopo giorno. Per valutare i risultati effettivi è ancora troppo presto, ma certo il cambio di marcia è evidente. La legge elettorale? Renzi ha messo sul tavolo la sua proposta e i suoi tre modelli. Sta agli altri adesso inseguire, esporsi, scegliere se e come trattare. Ncd è in confusione, le crepe tra i Cinque stelle se andare a vedere il gioco di Matteo o respingerlo a priori come ha chiesto Grillo sono evidenti. Le unioni civili? Ha un bel ribadire Alfano che lui è per la famiglia. L’agenda ormai Renzi l’ha imposta. La sua sembra la classica operazione “win-win”: se Ncd cede, intasca una vittoria politica, se Ncd si impunta, può “dialogare” sulla legge elettorale, se Ncd esce dal governo (ma non ci crede neanche Alfano), la responsabilità è sua.

Il “rimpasto” (una parola che Renzi si è rassegnato a pronunciare oggi su Facebook)? Tutto nelle mani di Letta: come gli uomini del sindaco di Firenze vanno ripetendo da settimane, dovrà essere il premier a valutare se per rafforzarsi è il caso di cambiare la squadra. Renzi non lo chiede, e dunque ancora una volta si pone in una posizione di maggior potere e maggior libertà e costringe gli altri ad esporsi. Il presidente del Consiglio per ora sembra intenzionato a non sostituire Fassina e a non cambiare altre caselle. Certo, bisognerà capire cosa succede con le prossime mosse di Renzi. Una volta presentato il piano lavoro, per esempio, potrà Giovannini, ministro scelto da altri, gestire quella che dovrebbe (almeno nelle intenzioni) essere una rivoluzione?

E a proposito di governo e di partito, Enrico Letta – dopo essersi trovato a dover gestire l’ennesima mina piazzata “con leggerezza” da Renzi e aver provato a dissuadere Fassina – si è detto preoccupato per l’unità del Pd, che essendo “perno” del sistema istituzionale, se diviso è meno solido. Ma davvero ci sono grossi segni di divisione? Fassina si è esposto, Cuperlo e d’Attorre si sono schierati in difesa subito, Davide Zoggia fa oggi una difesa d’ufficio sull’Unità. Per il resto poco e niente. Anzi. Dice Matteo Orfini: “Fassina doveva fare di più e impegnarsi nel governo”. Commento che illumina una parte del campo meno evidente: perché la minaccia-Renzi è sempre presente, ma in realtà pure la minoranza democrat ci sta mettendo del suo a indebolire Letta. Ancora, l’ammissione di Alfano: “Il campo è minato, ma noi da sempre lavoriamo per l’accordo”.

Intanto mentre gli altri si affannano lui Matteo con la nota Facebook chiude le comunicazioni domenicali: a cambiare l’Italia “noi ci proviamo, con il sorriso sulle labbra ma anche con la determinazione di chi sa che dobbiamo cambiare verso davvero. Buona domenica a tutti!”. Padronale, dittatore, re, segretario di un partito personale, per citare alcune delle critiche di queste ore? Per dirla alla Rhett Butler nel finale di Via col vento, lui francamente se ne infischia.

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