A rischio le rappresentazioni del teatro della Capitale, compresa la vetrina internazionale in Giappone. Il cda della fondazione attingerà infatti ai fondi previsti dalla legge Bray, il che implica massicci tagli del personale e degli stipendi. I lavoratori puntano il dito contro il sindaco Marino, accusato di avere tradito gli impegni
Il Teatro dell’Opera di Roma pronto a fermarsi. A rischio “tutte le produzioni, compresa la tournée in Giappone“. E’ quanto annunciano le rappresentanze sindacali in un comunicato congiunto siglato da Slc-Cgil, Fials-Cisal e Libersind-Confsal, accusando il sindaco di Roma Ignazio Marino di “tradire clamorosamente l’impegno preso nel verbale d’intesa sottoscritto il 25 novembre”. I sindacati dicono “basta con le illegalità” e “no all’accesso al fondo e alle procedure della legge Bray“. Il cda della fondazione, partecipata dal Campidoglio, ha infatti deciso di attingere ai fondi messi a disposizione dal provvedimento. Un’operazione non certo a costo zero: per restituire il prestito, riferiscono i sindacati, è necessario licenziare il 50% dei dipendenti e tagliare la metà degli stipendi di chi resta.
Nel documento, le organizzazioni dei lavoratori ricordano che “il nuovo Consiglio di amministrazione, insediato in fretta e furia poco prima delle festività natalizie, ha reso noto di aver predisposto l’accesso forzoso al prestito ex legge 112 del 2013, che innesca la distruzione progressiva della capacità produttiva, qualitativa e quantitativa del Teatro”. Questa decisione, secondo i sindacati, è stata presa “senza il preventivo confronto di merito con le organizzazioni sindacali anche su possibili soluzioni alternative, in violazione delle norme del contratto nazionale e della stessa legge”.
Inoltre, “è mancata la necessaria chiarezza e trasparenza sui dati di bilancio, poiché quelli diffusi a mezzo stampa e forniti dal nuovo cda appaiono significativamente difformi da quelli resi noti dall’amministrazione comunale ai sindacati il 25 novembre”. La reazione annunciata dai lavoratori non si ferma al blocco delle pièces teatrali. I sindacati annunciano che stanno “approntando un esposto a magistratura, guardia di finanza, Corte dei Conti e ministero dei Beni Culturali, per chiarire l’incongruenza con dati e analisi forniti dal cda uscente attestanti la assoluta salubrità e solvibilità dei conti proiettati al quarto pareggio di bilancio consecutivo”.
La crisi del teatro italiano comincia con la diminuzione degli stanziamenti per il Fondo unico per lo spettacolo, che corrisponde a 400 milioni di euro per le rappresentazioni che vanno in scena in tutta Italia. A questo si aggiunga che l’Opera della Capitale ha già operato tagli al personale per 10 milioni di euro tra il 2008 e il 2013, con 130 persone licenziate in 5 anni, passando da 631 lavoratori a 480. Per i 200 precari nessun paracadute, mentre il milione per i dirigenti resta. Nel 2013 il Comune decide che l’Opera di Roma, a stagione in corso, stanzierà 17 milioni. All’appello ne mancano 3. E le spese della fondazione superano le entrate, con il sovraintendente “costretto ad entrare nella legge Bray”, dicono i dipendenti.