Sono passati esattamente 30 anni da quando il giornalista catanese Giuseppe Fava venne ucciso con cinque colpi di pistola da Cosa nostra. Trent’anni che hanno visto ulteriori omicidi nei confronti di chi ha cercato di frapporsi allo strapotere mafioso. Pippo Fava era uno di questi. La sua arma? La penna.

Questa sera, alle 21.30, andrà in onda un documentario dal titolo “I ragazzi di Pippo Fava”, dedicato all’uomo che venne ucciso a causa della propria ostinazione nel voler pretendere di raccontare la verità.

Tutto normale in un paese normale in cui la televisione di Stato rende omaggio a chi per lo Stato ha sacrificato la propria vita. Ma lo sappiamo: non viviamo in un Paese normale. Così si è deciso che il documentario doveva andare in onda in seconda serata, alle 23.40, quando il Paese va a dormire, i ragazzi si preparano per l’ultimo giorno di vacanza, la maggior parte della popolazione spegne la televisione. E tu, caro giornalista che 30 anni fa sei morto proprio per amor dell’informazione, sarai rilegato in seconda serata.

Ma per fortuna c’è un ma. Alcuni studenti di Scienze politiche all’Università degli Studi di Milano (vi avevo già parlato degli ideatori di WikiMafia) si sono messi in testa che questa scelta della Rai non era accettabile. Non per chi, studente, dopo tanti anni cerca ancora in persone come Fava un faro di speranza, una guida, un simbolo da riportare in vita ogni giorno.

Questi ragazzi hanno preso “carta e penna” ed hanno scritto una petizione indirizzata a Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, membri del Consiglio di Amministrazione della Rai. La richiesta è semplice: “vi chiediamo di fare tutto quello che siete tecnicamente in grado di fare per modificare la programmazione e permettere la trasmissione in prima serata della storia di Pippo Fava”. Questo perché “pensiamo che la primaria funzione del servizio pubblico – scrivono i ragazzi di WikiMafia – sia quella di informare, soprattutto i giovani come noi, sugli esempi migliori della nostra storia e memoria collettiva, visto che ci sono e hanno pagato con il sacrificio estremo della propria vita la lotta al crimine, alla corruzione, al fenomeno mafioso nel suo complesso.

Ed è così che con circa 700 firme on line, dei ragazzi di vent’anni di Milano mettono in crisi una direzione della tv nazionale con la nobile pretesa di poter omaggiare un giornalista catanase morto prima ancora che fossero nati. “A che serve essere vivi se non c’è il coraggio di lottare” si domandava lo stesso Fava prima di essere ammazzato per il proprio coraggio. Un esempio positivo, nel tentare di essere vivi, oggi ce l’abbiamo.

Grazie a Pippo Fava e a chi, nel suo ricordo, non smette di lottare.

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