La Cassazione respinge il ricorso del politico, che chiedeva l'assoluzione nel merito. Secondo l'accusa, da consigliere provinciale di Roma aveva ottenuto 241mila euro per compensare le assenza da un'attività lavorativa fittizia, e in più aveva gonfiato i chilometri percorsi a carico dell'Ente
Inammissibile. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’europarlamentare Pd Guido Milana contro la sentenza del giudice per l’udienza preliminare che aveva chiuso il procedimento a suo carico dichiarando il non luogo a procedere, per i reati di falso ideologico e truffa aggravata, per intervenuta prescrizione dei reati. E la Cassazione respingendo il ricorso ha condannato Milana a pagare le spese processuali e mille euro alla cassa delle ammende.
I fatti si riferiscono a quando Milana era consigliere provinciale a Roma ed esplose lo scandalo dei rimborsi. Secondo la Procura di Latina, Milana si fece assumere, nel 2002, con la qualifica di dirigente presso un’azienda senza prestare un’effettiva attività lavorativa e indusse in errore la provincia che gli ha riconosciuto per tre anni, fino al giugno 2005, la cifra di 241 mila euro a titolo di rimborso. Infatti, la legge prevede che la provincia rimborsi al consigliere quanto corrisposto dal datore di lavoro per le ore o giornate di assenza dall’impiego per lo svolgimento della funzione pubblica elettiva. Uno scandalo che riguardò anche esponenti di altri partiti. Con il politico Pd anche due responsabili della società Stradaioli srl sono stati coinvolti nell’indagine e anche per loro è scattata la prescrizione.
Un’altra contestazione mossa solo a Milana riguardava l’attestazione mendace alla Provincia di falsi tempi di percorrenza per raggiungere il posto di lavoro. Il pm ne chiedeva il rinvio a giudizio per truffa aggravata e falso ideologico ‘per il grave danno patrimoniale provocato’, ma il giudice per l’udienza preliminare presso il tribunale di Latina ha dichiarato il non luogo a procedere ‘per intervenuta prescrizione dei reati’. Nella sentenza, firmata dal giudice Guido Marcelli, depositata lo scorso maggio, si legge: “Emergono diversi elementi in ipotesi suscettibili di proficuo sviluppo dibattimentale ai fini della conferma dell’ipotesi accusatoria”. Il giudice rimarca diversi elementi fondanti l’accusa per Milana come: “L’incremento del suo stipendio lordo mensile di euro 1450 nel mese di luglio 2003 nonostante la menzionata scarsa presenza presso il luogo di lavoro, ed infine le sue dimissioni del 15 giugno 2005, concomitanti con l’elezione a consigliere presso la Regione Lazio”.
Il giudice ricorda che la Regione, a differenza della Provincia, non prevede rimborsi dell’ente al datore di lavoro. L’europarlamentare, nel ricorso ritenuto inammissibile dalla seconda sezione penale della Cassazione, presidente Antonio Esposito, relatore Sergio Beltrani, aveva chiesto l’annullamento della sentenza del gup e la pronuncia di assoluzione. La difesa di Milana ha eccepito che gli aumenti retributivi erano giustificabili con adeguamenti contrattuali e che l’assunzione ‘contestata’ era assolutamente legittima e coerente con la sua esperienza professionale. Ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso. Niente assoluzione. Per Milana lo scandalo rimborsi, in sede penale, si chiude con il non luogo a procedere per la prescrizione dei reati.
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