Non è raro che dai commenti a vari blog sul FQ esondi una discreta dose di livore in particolare quando si tirano in ballo le cause della crisi. Una specie di riflesso condizionato punta gli “economisti”, come se gli economisti fossero un partito politico guidato con piglio ferreo da un Comitato Centrale. Come può appurare chiunque getti un’occhiata anche saltuariamente ai giornali (non sportivi), gli economisti (quelli che hanno studiato per diventarlo, non i guitti pazzoidi che si autoprocalmano tali muniti di copricapo napoleonico) nutrono idee variegate e complesse.
Solo occasionalmente queste idee influenzano significativamente le politiche macroeconomiche, dettate invece da interessi e ricerca di consenso, certo non da grafici e libri di testo. Quasi sempre i politici che maneggiano le leve del potere, sono refrattari a questioni di efficienza, libertà economica, equità fiscale, difesa della proprietà privata, diritti individuali di fronte allo Stato.
E’ vero tuttavia che alcuni economisti accademici a fine carriera, con più tempo da dedicare alle loro passioni di chi deve far quadrare i bilanci, si cimentano in pubblico con la bassa cucina politica. Il caso più illustre è Paul Krugman, insignito del prestigioso premio intitolato alla memoria di Alfred Nobel.
Siamo partiti dalle cause della crisi attuale. Quali ricette propugnava Krugman non nel 2008, ma nel 2002 quando imperversava la prima crisi del nuovo secolo con lo scoppio della bolla di società internet (le dotcom, per gli addetti ai lavori) esacerbata successivamente dall’11 settembre? Soffermiamoci sul suo editoriale del 2 agosto 2002 in cui dava consigli all’allora Presidente della Fed Alan Greenspan. Per chi non avesse dimestichezza con l’inglese, traduco il passo saliente:
“Il punto basilare è che la recessione del 2001 non è stata una frenata tipica del periodo postbellico, causata quando una Fed intenta a combattere l’inflazione aumenta i tassi di interesse, e messa a termine facilmente attraverso una scossa agli acquisti di case e al consumo privato appena la Fed abbassa di nuovo i tassi. Questa è stata una recessione in stile anteguerra, un risveglio [traumatico] da esuberanza irrazionale. Per combattere questa recessione alla Fed occorre più che una scossa; occorre un’impennata nella spesa delle famiglie per controbilanciare i moribondi investimenti delle imprese. E per ottenere ciò, come spiegato da Paul McCulley di Pimco [uno dei più grandi gestori finanziari del globo NdA], Alan Greenspan deve creare una bolla immobiliare che rimpiazzi la bolla del Nasdaq”.
In sintesi, Krugman suggeriva attraverso una politica monetaria estremamente aggressiva (in soldoni attraverso la finanza allegra danzata al suono della presse nella Zecca) di risolvere il problema della bolla dotcom con un’altra bolla. Il che è puntualmente avvento. Anzi per non farsi mancare nulla, la Fed cui l’editoriale era diretto, pensò bene di aggiungervi anche un’impennata nel debito delle famiglie per sostenere i consumi (i Cinesi ringraziarono commossi).
E tanto per sparigliare le certezze pseudo-ideologiche inculcate nei telelobotomizzati (o attraverso i bignamini rilanciati dar webbbe) va sottolineato in blu che queste combinazioni di “politiche monetarie aggressive” e stimoli di breve termine venivano implementate e glorificate dall’Amministrazione Bush. Anche Krugman l’ha ricordato nel suo blog inaugurale del 2014, dolendosi che dopo la crisi i Repubblicani abbiano perso fede nel Verbo keynesiano.
Avvenne così che le banche, come mosche al miele, si buttarono sul nuovo Eldorado attraverso i famosi mutui subprime. E col duplice proposito di aggirare i limiti prudenziali e scaricare i rischi sul pollastro di turno si inventarono (complici le agenzie di rating in conflitto di interessi) le cartolarizzazioni di quelli che più tardi diventarono noti alle masse come titoli tossici. Il tutto nel più completo disinteresse dell’autorità di supervisione bancaria, vale a dire la stessa Fed troppo intenta a trafficare con le pompe della moneta facile e a cimentarsi nel corso da apprendista stregone pubblicato a dispense settimanali sul New York Times.
Chi si distinse come maîtresse di questa politica economica? Gli squali della City? I Gordon Gekko di Wall Street? I famigerati hedge funds? Non proprio. Non che costoro non abbiano partecipato alle orgette, ma lo zoccolo duro della frenesia finanziaria furono due colossi bancari pubblici: Freddie Mac e Fannie Mae, entrambi creati per sviluppare il mercato dei muti ipotecari e noti su Capitol Hill per le cospicue donazioni a parlamentari sia repubblicani che democratici. Queste due banche garantite dallo Stato Federale hanno accumulato perdite per oltre 300 miliardi di dollari, Fannie Mae 179,5 (record assoluto tra tutte le banche mondiali) e Freddie Mac 138,8 (medaglia di bronzo dopo Citi Group con 142,7 miliardi).
Uno immaginerebbe che dopo un tale disastro epocale la teoria e soprattutto la pratica della finanza allegra subisse quantomeno uno scrutinio più ragionato. Invece qual è stata la ricetta che Krugman dal suo pulpito ripete da 6 anni? Ma è ovvio! Una bolla finanziaria per contrastare le bolla immobiliare in precedenza invocata per contrastare la prima bolla finanziaria. Meglio se accompagnata da spesa pubblica, anche se improduttiva.
E così di bolla in bolla nei secoli dei secoli. Per i lettori che nei commenti invocano cifre ecco scodellato un grafico: in rosso le immissioni settimanali di liquidità, in nero l’indice S&P500 alla Borsa di New York.
Sui mercati si strappano di mano titoli finanziari, azionari e obbligazionari, senza alcun riguardo per i rischi sottostanti o per i fondamentali, tanto la Mamma Fed e la Zia Banca del Giappone (ma anche la Bce e la Banca d’Inghilterra) distribuiscono viagra monetario a piene mani e quindi meglio spassasserla finché dura. Un trilione qua, un trilione là e si ottenebrano i freni inibitori. Come sempre c’è pure chi racconta che questa volta è diverso.
Tanto poi se scoppia anche questa bolla non mancheranno gli esagitati un tanto al chilo che in televisione si accapigliano per esecrare economisti, liberismo, Bilderberg, e tutto il resto di ogni nefandezza.
Per completezza informativa una postilla è d’uopo. Nel luglio 2012, Diego Sanchez de la Cruz, giornalista di LibreMercado.com chiese conto a Krugman di quel passaggio. Il Premio Nobel rispose che stava scherzando (“I was joking”). Né io né altri eravamo riusciti a cogliere il tono comico dell’articolo, però visto che l’animo umano è insondabile (al pari delle freddure) accettiamo la versione del Krugman spiritoso. Ciò però innesca un cortocircuito neuronale nelle schiere dei seguaci: come distinguere il Krugman comico da quello serio? E saranno spiritosi anche gli altri Nobel quando dalla rete emergono le loro perle di saggezza? Spinoso problema, specie in Italia dove siamo alle prese con Grillo, Berlusconi e Bossi (approdati alla politica dal palcoscenico, dalle crociere e dai bar di provincia) che godono ad alternare questo doppio registro per i militanti confusi del Partito delle Bungalire.
(*) Per chi volesse approfondire segnalo alcuni articoli recenti sui media internazionali dedicati all’argomento
Wall Street Journal 1 – 2
Financial Times
Reuters