Il magico sorbetto di Natale   

mercante1Ci sono le vittorie scontate, che lasciano alla fine insoddisfatti, e le vittorie con la v maiuscola, che possono dar senso a una stagione agonistica o a un’intera carriera, ma anche a un incontro fra amici. Come il colpo gobbo a mercante in fiera, quando ti aggiudichi la posta più alta con le due misere carte che il mazziere ti ha consegnato a inizio partita, più per umana pietas che a fronte del pagamento della prevista quota minima di partecipazione. Non sempre la fortuna è però dalla tua: vedi il castelletto dei tuoi avversari che comincia a sgretolarsi, mentre il tuo piccolo avamposto regge eroicamente alle bordate del banditore; resisti alle sirene di chi vuol comprarti le carte; senti a un tratto chiamare, uno dopo l’altro, i due membri del doppio, improbabile acquisto che hai fatto, un guerriero gallo e una graziosa giapponesina, e i sogni di gloria d’un botto svaniscono.

mercante2Quasi mai nessuno, a Natale, organizza appositamente una serata o un pomeriggio da passare in compagnia del mercante in fiera. Ma se qualcuno, nel bel mezzo di una partita di sette e mezzo o di tombola, tira fuori due bei mazzi di carte “dedicate”, con immagini di luoghi e monumenti, di mezzi di trasporto e di comunicazione, di oggetti o animali, di frutti e ortaggi, di arti e mestieri, di etnie e nazioni (un’asiatica o un beduino), di personaggi illustri o eroi di fumetti, di figure strane ed evocative, allora è quasi impossibile resistere. Con le locandine dei film, le incarnazioni di miti e di leggende, le celebrità della politica o dello spettacolo, gareggiano le figure hard, le pin-up in voga negli anni Sessanta e Settanta, le serie disegnate da illustratori famosi. Come quella di Jacovitti, con l’elefiasco e l’arpanonna, lo scaccopardo e il fumagiorgio.  

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Più si è e meglio è, magari di sera

Tante le versioni locali del mercante in fiera, e relative raffigurazioni: lo scapelature (‘il girello’) di Foggia, o lu cardille (‘il cardellino’), lu cacature (‘il cacatoio’), li mazzemarille (‘i folletti’) di Teramo. Dalle geografie presenti a quelle passate: nel XIX secolo il gioco, già ben noto nel Settecento, si gioca a Roma come a Parma, a Cremona come a Mantova, a Venezia come a Milano. 

mercante4«Nun j’è vvienuta mó la fernesia / invesce de ggiucà a mmercant’in fiera, / d’aritirasse in cammera ‘ggni sera / soli soli a studìà dde strolomìa?». Sono i versi d’apertura di un sonetto del Belli (La strolomìa), composto il 23 settembre 1836. Il grande poeta dialettale contrappone qui, all’improvvisa voglia degli aspiranti astronomi protagonisti di ritirarsi in solitudine, l’aggregazione prodotta dalle seratine in allegria, passate a giocare al mercante in fiera. Un gioco che – come molti altri, s’intende – poteva riunire attorno a un tavolo molte più persone degli esponenti di un nucleo familiare ristretto o allargato, e ridimensionare o azzerare momentaneamente perfino gerarchie lavorative e differenze sociali.

Una novella ottocentesca scritta da un avvocato francese, Odoardo Charton, narra dei due figli di un mercante marsigliese che decidono, alla morte del padre, di proseguirne l’attività. Uno di loro era solito intrattenersi «famigliarmente co’ suoi giovani di bottega, principalmente la sera quando erano seduti in giro alla lucerna per giuocare alla lotteria, all’oca, a ventuno od al mercante in fiera» (I due mercanti, “Letture di famiglia. Giornale settimanale di educazione morale, civile e religiosa”, 1847, VI, 9 gennaio, p. 15).   

 

Testimoni d’eccezione: Mozart, Gozzi, Goldoni

I precedenti più illustri del mercante in fiera sono settentrionali, più esattamente milanesi e veneziani.

«Qui a Milano ho imparato un nuovo gioco, che si chiama Mercante in fiera; appena torno a casa ci giochiamo». Così scrive alla sorella un Mozart sedicenne, nel poscritto a una lettera (5 dicembre 1772), con destinazione Salisburgo, indirizzata dal padre Leopold alla moglie Maria Anna; missiva e postilla sono in tedesco, ma il nome del gioco è in italiano. Parla del mercante in fiera, in diverse lettere, anche il veneziano Gasparo Gozzi: in una dice di averci giocato la sera prima, con la sua «solita fortuna» (15 giugno 1755); in un’altra dichiara di avervi visto giocare insieme dame e cavalieri chioggiotti (13 ottobre 1755).

Gozzi non ama il mercante in fiera, gli sembra un «giuoco vedovo». E non l’ama nemmeno Cecilia, personaggio di una commedia di Goldoni (La casa nova, 1761): non ha pazienza, preferisce il faraoncin.  

di Massimo Arcangeli e  Sandro Mariani

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