Cultura

Editoria: in Italia sempre meno lettori. E se fosse colpa dei libri?

Bisogna creare lettori, non dar loro solo quello che vogliono.
(Carlos Fuentes)

Ripensavo a questo aforisma di Carlos Fuentes nei giorni di fine e inizio d’anno, momento di bilanci e previsioni del mondo editoriale e di interrogativi sul futuro. Il grande scrittore messicano si riferiva al mestiere di scrittore e al ruolo che l’immaginazione deve avere nel creare lettori, contro la standardizzazione dei molti best seller veri o presunti.
Una prima considerazione, per quanto paradossale possa apparire, è dunque questa: compito degli editori è anche quello di creare lettori e di agire per la loro sopravvivenza, perché altrimenti tutta l’editoria è destinata a morire. Il problema del futuro non è il digitale, ma appunto l’esistenza dei lettori.

Le recenti stime Istat vedono nel 2013 un’ulteriore diminuzione dei lettori in Italia (quelli che leggono almeno un libro all’anno), che passano dal 46 al 43% della popolazione adulta, e soprattutto una diminuzione dei lettori forti (quelli che leggono almeno 12 libri all’anno), che dal 14, 5% scendono al 13,9%. Questi ultimi rappresentano la base economica dell’editoria in Italia. Si può infatti affermare che, nel nostro paese, poche persone leggono molti libri. Siamo dunque un paese di pochi lettori forti.

Secondo i principali editori, a sentire sempre l’Istat, causa di questa situazione sono: la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura, il basso livello culturale della popolazione, inadeguate politiche pubbliche di incentivazione all’acquisto dei libri, non sufficiente promozione dei libri e della lettura da parte dei media. Tutto vero, ma vorrei aggiungere qualche riflessione: a parte l’ovvia considerazione che criticare “il basso livello culturale della popolazione” è come accusare gli elettori di votare male, visto che anche gli editori dovrebbero contribuire all’innalzamento culturale della popolazione, nessuno sembra prendere in considerazione, nell’individuare le cause del decremento della lettura, la “qualità” di molti libri che offriamo ai nostri lettori forti.

Anni di filosofia manageriale applicata all’editoria avranno forse prodotto utili nel breve termine per grandi gruppi, ma sicuramente hanno contribuito alla desertificazione progressiva del lettore, con l’immissione massiccia dei best seller seriali a cui si riferisce Fuentes. Libri che oggi, vista la crescente standardizzazione di questi “prodotti” e dei loro contenuti, non si vendono nemmeno più nelle quantità di un tempo. Ma che, a causa dell’oligopolio distributivo, occupano la maggior parte degli spazi nelle librerie.

Facciamoci del male e ricordiamo la classifica dei titoli più venduti di narrativa italiana dell’estate del 1958 quando, in un paese con una percentuale di lettori adulti non molto diversa dall’attuale, i primi tre posti erano occupati da Pasolini, Gadda e Bassani.

Dobbiamo forse ricordare che anche la qualità è un valore economico?