Telecom Italia fa la felicità di trader e speculatori, ma non quella dei piccoli soci. Nel silenzio sul futuro della rete, dominano in Borsa le indiscrezioni di cessione della filiale Tim Brasil con il titolo del gruppo guidato da Marco Patuano che ha toccato i massimi da ottobre 2012. Ad alimentare gli acquisti sul titolo la notizia, riportata da Il Sole 24 Ore, secondo cui il 16 gennaio i consiglieri indipendenti di Telecom presenteranno una mozione che imporrà di valutare qualunque offerta sulla controllata brasiliana come operazione con parti correlate. Detta in altri termini, la mozione testimonia come una parte del consiglio del gruppo sia convinta che bisogna vigilare al massimo su una eventuale dismissione ed evitare i conflitti di interesse dell’azionista più importante di Telecom, Telefonica, che pure ha interessi importanti in Brasile con la filiale Vivo.
Tanto più che la cessione della filiale brasiliana, secondo i piccoli soci dell’Asati, rischia di depauperare Telecom e di limitare le sue potenzialità su un mercato di assoluto interesse. Non è però solo la partita brasiliana, che secondo l’Asati vale ben 15 miliardi, a far muovere il titolo Telecom. Da agosto, cioè da quando è iniziato il riassetto della holding di controllo Telco, l’azione ha guadagnato quasi il 65 per cento. Il cospicuo rialzo è tuttavia solo una piccola consolazione per i soci di minoranza dal momento che, per il controllo di Telco, gli spagnoli hanno concordato con i soci italiani (Generali, Mediobanca e Intesa) una valorizzazione da 1,1 euro per azione. E per lo stesso Marco Fossati, il socio attivista che è arrivato ad un soffio dalla revoca dell’attuale consiglio di amministrazione di Telecom.
Le fiammate di Borsa non piacciono però ai commissari Consob che sono stati presenti all’ultima assemblea Telecom. Del resto l’autorità presieduta da Giuseppe Vegas, che segue da vicino la partita sin dai patti di Telco del 24 settembre, ha già depositato una copiosa documentazione alla Procura di Roma sul tema del mancato rispetto della disciplina con parti correlate relativamente all’emissione del prestito da convertire in azioni Telecom nel 2016. E lo stesso Vegas aveva già spiegato in più occasioni di aver messo sotto controllo la società a partire dal consiglio del 7 novembre puntando su un possibile conflitto d’interessi: dalle modalità anomale del collocamento del convertendo fino alla cessione di Telecom Argentina e alla stessa ascesa di BlackRock nel capitale di Telecom proprio a ridosso di una delicata assemblea. Sull’intera faccenda però il procuratore aggiunto Nello Rossi e il procuratore capo Giuseppe Pignatone hanno di recente fatto sapere attraverso una nota che al momento per “Telecom e Telco non vi sono indagati per il reato di ostacolo alla vigilanza né per alcun altro reato”.
E mentre la magistratura tenta di comporre il complesso mosaico del passaggio di proprietà della Telecom, la finanza va avanti per conto suo con Telefonica che, nei termini dell’intesa d’autunno, a partire da questo mese potrà diventare socio unico di Telco siglando così la definitiva uscita di scena dei soci italiani. Senza peraltro che nulla sia stato deciso sul tema della rete che fa capo a Telecom salvo il recente regolamento attuativo “per l’individuazione delle procedure per l’attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale”. Il cosiddetto golden power è ora nelle mani del premier Enrico Letta il quale però sulla questione Telecom si è finora mostrato molto cauto: “Telecom è una società privata, il governo non parteggia per nessuno”, ha spiegato Letta nel giorno dell’assemblea di dicembre rispondendo alle accuse lanciate dal senatore Pd Massimo Mucchetti che ha rivelato al giornale L’Unità di essere stato contattato dal presidente di Assicurazioni Generali, Gabrieli Galateri di Genola, nell’intento di dissuaderlo dal proposito di riformare la legislazione sull’offerta pubblica d’acquisto per bloccare la scalata di Telefonica con l’acquisto delle sole partecipazioni di Telco.
Tuttavia se sulla questione Telecom il Governo sembra intenzionato a lasciare spazio ai privati, sul network le intenzioni dell’esecutivo non sono ancora chiare. Letta ha dichiarato che la rete “è un asset strategico per il Paese ancorché privata e dunque il governo vuole proteggerlo” sollecitando investimenti infrastrutturali. Parole che tuttavia non sono in linea con quanto in passato sostenuto dal nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, che, nel proprio programma per le Primarie 2012, parlava della realizzazione di “un next generation network messo a disposizione per tutti gli operatori di telecomunicazioni a parità di condizioni tecniche ed economiche e di proprietà di un soggetto esclusivamente pubblico senza fine di lucro e non scalabile promosso da Cassa depositi e prestiti”. Un progetto ben diverso da quello di una semplice sollecitazione di investimenti privati su un asset strategico per il Paese.