Viale del Buon Cammino, civico 19. Carcere di Cagliari. Le due del 23 aprile 2011. Un uomo ha appena varcato il portone d’ingresso. In strada respira il profumo dei pini marittimi. Il sole lo colpisce agli occhi. Abbassa lo sguardo. Lo rialza. Si stringe nella giacca. Poi gonfia il petto. Si sente libero come non lo era più stato dal 10 settembre 1992, quando iniziò la sua vita da carcerato. Diciannove anni dopo, il primo permesso e una sensazione che aveva imparato a dimenticare. Oggi la vita ricomincia, il sangue torna a scorrere, la mente a ingranare idee. Ancora, però, non è finita. Il rientro è fissato per le undici di sera. Meglio non pensarci. C’è la famiglia da riabbracciare, progetti da far ripartire.
Fino al blitz di questa mattina, quella data ha scavato come un tarlo nella testa dei carabinieri di Milano. Sì perché quel signore non alto, ma robusto, il volto indurito dagli anni di galera, lo sguardo che ghiaccia lo stomaco, non è uno qualsiasi, ma il boss dei boss, il padrino rispettato che assieme ai suoi due fratelli per oltre vent’anni ha giostrato gli affari della ‘ndrangheta all’ombra del Duomo. Questo, infatti, è Rocco Papalia nato a Platì il 24 ottobre 1950. Un supercapo che dal suo fortino di Buccinasco, comune dell’hinterland milanese, ha programmato sequestri e traffici di ogni genere. Erano gli anni Ottanta. All’alba dei Novanta, poi, lo Stato reagì. Centinaia di mafiosi finirono in carcere. Negli archivi giudiziari quel blitz fu classificato sotto il nome di Nord-sud. A dare la stura le parole del pentito Saverio Morabito, ascoltate e trascritte da un giudice coraggioso, Alberto Nobili, e da un sbirro eroico, Carmine Gallo. Il resto è una storia, quella che traghetta Milano verso il terzo millennio, fatta di dimenticanze politiche, smemoratezze istituzionali e voglia di cancellare l’assedio mosso all’epoca dalla mafia più potente del mondo.
Il brusco risveglio una mattina di luglio del 2008. Di nuovo la cosca Barbaro-Papalia, ancora l’incubo di un’ammissione che si può tradurre in un titolo: Milano provincia di ‘ndrangheta. L’operazione Cerberus fa saltare il tappo. In quattro anni la Procura mette a segno centinaia di arresti, narrando di una Lombardia che si è fatta mandamento mafioso con le sue regole e i suoi riti. Decine di informative raccontano di colletti bianchi e politici collusi. I giudici condannano senza sconti. Eppure tanta solerzia investigativa ha intaccato solo la superficie di una infiltrazione molto più profonda e devastante. Ecco perché questa storia non riguarda il passato, ma il presente e il futuro. Una storia sulla cosca Barbaro-Papalia, sui suoi nuovi assetti, sul suo tesoro (mai trovato), e sugli affari: dal traffico dei rifiuti agli appalti pubblici. Una storia che parte (o riparte) da Rocco Papalia e dai suoi fratelli (Antonio e Domenico), che, pur ergastolani, da anni ormai hanno abbandonato i rigori penitenziari del 41 bis. Ma anche da un gruppo di colonnelli, oggi tornati liberi, che negli anni Ottanta, stando alle parole di un pentito, componevano “il governo” della ‘ndrangheta a Corsico e Buccinasco.
Così, per capire quanto quel 23 aprile 2011 abbia tenuto gli investigatori inchiodati per oltre due anni sul territorio di Bucicnasco, basta scorrere le oltre cento pagine di un’informativa del 17 giugno 2011. Nelle prime pagine dell’annotazione, che ha dato inizio all’indagine conclusa oggi, i militari, ricordando le ultime inchieste che hanno colpito la cosca Barbaro-Papalia (Cerberus nel 2008 e Parco sud nel 2009), mettono nero su bianco un ragionamento che inquieta: “Non vi è alcun segnale che si sia verificato un vuoto di potere. Oggi, per di più, s’inizia a intravedere il giorno in cui Rocco Papalia potrà tornare a Milano e fruire dei permessi; il primo gli è stato concesso a Cagliari (…). Nel frattempo, sono tornati in libertà membri autorevoli dell’organizzazione (…) membri la cui fedeltà alla cosca e a Rocco Papalia, in particolare, è certificata nelle condanne passate in giudicato”. E ancora: “Le innumerevoli attività investigative che, dagli anni Ottanta a oggi, hanno riguardato la cosca insegnano che essa, nonostante gli arresti, le tante e pesantissime condanne, è caratterizzata da una solida continuità di comando. E da un rispetto assoluto delle gerarchie. E’ una cosca che, proprio in ragione di ciò, non ha mai subito né faide né scissioni”. Una data per capire: 1983. Scrive il brigadiere Giuseppe Furco della locale stazione di Platì: “In merito alla posizione di capo indiscusso, con ruolo di prestigio anche sugli altri capi non vi è dubbio, infatti, che Domenico Papalia, fratello di Antonio e Rocco, cugino dei Barbaro soprannominati I Nigri, è tenuto in ottima considerazione”. Ecco invece cosa annotano i carabinieri nel 2011: “Sono trascorsi quasi trent’anni da quando Giuseppe Furco scrisse quell’informativa (…) e gli equilibri, in seno alla cosca Barbaro-Papalia restano immutati”.
Corsico oggi. Un bar di via Salma. La storia riprende da qui e da una telefonata del 2011. “Sei al bar?”, chiede Agostino. “Sì”, risponde Michele. Il nastro delle intercettazioni registra. Il contenuto non è decisivo. Ai carabinieri serve per fissare nomi e luoghi della nuova pattuglia della cosca. Agostino, infatti, è Agostino Catanzariti nato a Platì nel 1947. Michele, invece, è Michele Grillo, anche lui platiota, anche lui classe ’47. Oltre all’anno di nascita, i due condividono l’appartenenza “al nucleo storico di ‘ndranghetisti che, alla fine degli Anni ’70, diede il via alla terribile stagione dei sequestri di persona in Lombardia“. Il 18 giugno 1987 Michele Grillo viene condannato a 18 anni per il sequestro di Tullia Kauten. Espiata la pena, oggi Grillo ufficialmente fa il camionista e vive a Casorate Primo, uno dei tanti comuni, a metà strada tra Buccinasco e Pavia, che rappresentano l’ultimo avamposto della ‘ndrangheta lombarda.
Di rapimenti è esperto anche Agostino Catanzariti. Secondo la ricostruzione dei carabinieri viene condannato per i sequestri di Angelo Galli, Alberto Campari (1977), Giuseppe Scalari (1977), Evelina Cattaneo (1979). Il 24 maggio 1981 viene arrestato. In carcere ci resta fino al 2009. Quindi rientra a Corsico nella sua casa di via IV novembre dove finisce di scontare gli ultimi due anni ai domiciliari. Il 6 ottobre 1981, quando Catanzariti è in carcere da pochi mesi, la sua cella viene perquisita. Salta fuori un pizzino che i carabinieri riproducono integralmente nella loro informativa del 2011. “In quel pezzetto di carta – scrivono – si riesce a leggere: “Agostino Catanzariti capo, Rocco Papalia Supercapo”. Anche per questo: “Si ha motivo di ritenere che, nonostante la lunghissima carcerazione, egli sia tutt’ora personaggio autorevole”.
I luoghi in questa storia sono decisivi per cogliere affinità e rapporti. Ci sono i bar come quello di via Salma e come il Lyons di via dei Mille a Buccinasco, veri e propri “uffici dei Papalia”. Ma ci sono anche altri posti dove, secondo i carabinieri, la sola presenza è sinonimo di appartenenza. Uno di questi è il sagrato della parrocchia di San Silvestro. Qui il 30 aprile 2011 si celebra il funerale di un parente dei Papalia. I carabinieri ci sono, filmano, fotografano e scrivono: “È noto che nella ‘ndrangheta le cerimonie religiose (battesimi, matrimoni, funerali) sono occasioni sociali alle quali non è ammesso sottrarsi”. E in effetti l’album fotografico che ne viene fuori resta un documento importante per individuare i pretoriani della cosca. Agostino e Michele ci sono. Con loro i militari immortalano anche Natale Trimboli. Classe ’56, originario di Platì, Trimboli oggi vive a Zelo Surrigone. In passato è stato condannato a otto anni per armi e droga. Ufficialmente si occupa di movimento terra. Uno dei suoi figli assieme al pronipote di Catanzariti ha aperto un bar a Corsico in via Fratelli di Dio.
Alla cerimonia funebre, poi, compaiono altri due personaggi che fanno drizzare le orecchie ai militari. Quel giorno si vede Antonio Musitano detto Totò Brustia. Pure lui della truppa dei platioti di Buccinasco, Musitano fa 17 anni di carcere per l’operazione Nord-sud. Dal 2007 è libero. Di lui ha parlato a lungo il pentito Saverio Morabito: “Papalia si faceva coadiuvare da Antonio Musitano (…) Tra la fine dell’83 e dell’84 (…) Rocco Papalia si avvaleva della collaborazione di Musitano che si era rivelato un ragazzo sveglio”. Per molto tempo, racconta un investigatore, “è stato l’uomo di riferimento su Milano di Giuseppe Barbaro detto u’ Nigru”. Confermano i carabinieri nella loro informativa: “Antonio Musitano può essere considerato una delle figure apicali in seno alla cosca Papalia”. La riprova? “Il 27 maggio 2010, lo stesso Musitano accompagnò Rosa Sergi al carcere di Padova per un colloquio con il marito Antonio Papalia, fratello di Rocco”.
Funerali, ma non solo. I legami di sangue cementano il sodalizio. E come nella più rigorosa tradizione nobiliare, ci si sposa per elevare il lignaggio. Succede con Giuseppe Pangallo nato a Platì nel 1980. I compari lo chiamano Peppone. Oggi vive in provincia di Como assieme alla moglie Rosanna Papalia, figlia di Rocco. Dirà lei, intercettata durante l’inchiesta Marine della procura di Reggio Calabria. “Io stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare a te”. Definito “personaggio degno di attenzione”, nel 2005 viene condannato a 3 anni per droga, ma andrà assolto in Appello.
Questi sono i personaggi che vengono monitorati dai carabinieri di Milano. Eppure la storia non finisce qua. Negli ultimi anni, infatti, molti protagonisti dei maxi-processi degli anni Novanta sono tornati in libertà. Attualmente non risultano indagati e vivono da liberi cittadini nei comuni a sud di Buccinasco. Un lungo elenco dal quale spicca il nome di Paolo Sergi, boss di rango e cognato di Antonio Papalia. Al termine del processo Nord-sud incassò diversi ergastoli. Dal luglio 2011 vive in una villetta di Zibido San Giacomo con la possibilità di uscire solo poche ore al giorno. Suo fratello Francesco, invece, sconta l’ergastolo in carcere. Per tutti gli anni Ottanta ha gestito droga e sequestri ai tavolini del bar Trevi di via Bramante a Corsico. Il terzo fratello Sergi, Giuseppe detto Peppone, vive da libero cittadino e gestisce un esercizio commerciale a Corsico. Altro grande frequentatore dei bar-uffici della ‘ndrangheta è Antonio Parisi. Anche lui coinvolto nei maxi-blitz degli anni Novanta (condannato a 30 anni in primo grado), oggi vive a Buccinasco. Stesso destino per Diego Rechichi, ex luogotenente di Rocco Papalia, arrestato nell’aprile 2013 per traffico di droga. L’elenco è lungo. Ne fanno parte i fratelli Trimboli. Oltre a loro anche l’omonimo Domenico Tromboli, detto u Murruni, è tornato in libertà. In passato ha sposato una Papalia. Insomma, questa è la geografia. Un risiko fitto di protagonisti e comparse. Tutti in attesa del ritorno di Rocco Papalia, “il supercapo”.