La vicenda è iniziata nel 1993 quando il gruppo di società facenti capo ai fratelli Melloni di Cento, in provincia di Ferrara, dichiarò il default. Adesso la beffa: il dicastero per lo Sviluppo economico chiede 20mila euro ad ogni risparmiatore truffato
Una bancarotta da 130 miliardi di vecchie lire. Circa 1800 persone che hanno perso i propri risparmi. Un liquidatore nominato dal ministero condannato per peculato e falso per aver fatto sparire i beni del fallimento. Un ministero, quello dell’Economia, che ora si rivale sui truffati -parte civile in giudizio- chiedendo a ognuno di loro 20mila euro. È in estrema sintesi la storia del crac Patrimonium. Una storia iniziata nel 1993, quando il gruppo di società facenti capo ai fratelli Stefano e Valerio Melloni di Cento, in provincia di Ferrara, dichiarò il default. Gli investimenti proposti ai clienti attraverso una Sim, società di intermediazione mobiliare, svanirono nel nulla.
Mentre i fratelli Melloni vengono indagati per truffa e bancarotta fraudolenta, nel 1995 il tribunale di Ferrara pronuncia il fallimento della Patrimonium, procedendo con la liquidazione coatta amministrativa per tutte le società del gruppo. Il ministero dell’Industria, chiamato in causa in quanto organo vigilante della Sim, nomina il 12 febbraio 1996 come liquidatore il commercialista Lorenzo Zaccagnini.
Con lui si dovranno rapportare i clienti che pretendono il rimborso dei propri soldi, o almeno di quello che è rimasto. La prima occasione propizia è la sentenza della Cassazione del 5 aprile 2006. La prima sezione civile conferma la decisione della Corte d’Appello di Bologna del 14 gennaio del 2002 e sancisce che i clienti hanno diritto alla restituzione del proprio patrimonio: la società in liquidazione deve provvedere alla restituzione agli aventi diritto dei titoli loro spettanti, ed al contestuale versamento del loro controvalore in denaro. Zaccagnini, per usare un eufemismo, tergiversa. Prende tempo. Troppo. Nove anni.
Uno dei legali che rappresenta una ventina di truffati, l’avvocato Carlo Emilio Esini fa un esposto alla procura (verrà archiviato). Bussa anche alla porta del ministero, ma da Roma l’unica risposta che arriva è una lettera a firme di Mario Spigarelli, direttore generale, che conferma come l’attività del commissario era “pienamente conforme alle direttive ministeriali”. Lo stallo perdura fino al 2006, quando finalmente viene revocata la nomina di Zaccagnini. Al suo posto arriva Roberto Pincione. Che non ci mette molto a capire che i soldi congelati dalla liquidazione sono spariti. Parte una denuncia contro il precedente liquidatore. Si scoprirà che si era intascato i beni che doveva custodire per coprire debiti propri. Zaccagnini verrà condannato nel 2009 dalla quarta sezione del tribunale di Milano a nove anni di reclusione (pena poi ridotta in appello). Nel processo a suo carico una cinquantina di risparmiatori si costituisce parte civile. Il tribunale penale chiama a rispondere come responsabile civile per il mancato controllo dell’operato del suo funzionario anche il ministero, che viene condannato a una provvisionale – quindi immediatamente esecutiva – di 20mila euro per ognuna delle parti civili.
Ma il dicastero dell’Economia impugna la parte di sentenza che riguarda la statuizione civile. E la Cassazione, con sentenza 41520 del 2012, gli dà ragione: il liquidatore, scrivono i giudici, non può essere inquadrato processualmente come un dipendente e non esiste un rapporto organico tra liquidatore infedele e pubblica amministrazione. Quindi, l’ipotesi di risarcimento per fatto illecito andrà valutata in un processo civile.
Passa un anno e, oltre al danno, arriva la beffa. Ai risparmiatori arriva una lettera dal Mise, il ministero per lo Sviluppo economico. Il dirigente dell’ufficio per gli affari generali e per le risorse scrive che a seguito dell’annullamento della sentenza da parte della Cassazione, “le somme corrisposte risultano essere un indebito oggettivo per il quale risulta necessario provvedere alla restituzione”. Si parla dei 20mila euro ottenuti con la provvisionale e di altri 1400 circa a titolo di interessi. La missiva chiude diffidando i risparmiatori a restituire il ‘maltolto’ entro 30 giorni, pena “il recupero coattivo del credito”.
“Siamo di fronte a una piccola grande vergogna nazionale – sbotta l’avvocato Esini -.Il ministero ha sì il diritto di chiedere quel denaro , ma è evidente che ha una responsabilità enorme per non aver vigilato sull’operato di un liquidatore che, seppur non suo dipendente, era un funzionario nominato dallo stesso ministero. Io credo che questo non sia un modo di comportarsi degno di uno Stato che deve prima di tutto tutelare i suoi cittadini”. Intanto i truffati e… mazziati si preparano alla causa civile, come ‘suggerito’ dalla stessa Cassazione. L’udienza è fissata per il 25 giugno di quest’anno. I risparmiatori hanno citato il ministero per 4 milioni e 800mila euro di danni.
Infine, per la cronaca, il maggior responsabile del crac, Stefano Melloni, oggi 56 anni, venne condannato in primo grado a 18 anni, poi ridotti a 10 in appello (quindi a 7 per effetto dell’indulto). Il processo si tenne in contumacia perché l’imprenditore fuggì in Svizzera per poi far perdere le proprie tracce. I carabinieri lo troveranno nel luglio del 2008 ad Antequera, cittadina vicino a Malaga, in Spagna. Dopo essersi fatto 40 giorni di carcere è ora sottoposto al regime dell’obbligo di firma, essendosi opposto all’estradizione. Sulla quale si deve ancora pronunciare la Corte centrale di Madrid. Nell’attesa lui ha aperto un ristorante di lusso e si fa fotografare con panama e occhiali da sole alle feste vip.