Si riapre lo scontro sui più poveri negli Stati Uniti. Un milione e trecentomila disoccupati hanno perso i loro sussidi alla fine di dicembre. Il Senato – 60 voti contro 37 – ha votato per rimuovere l’ostruzionismo repubblicano e arrivare a una legge che estenda gli aiuti per i prossimi tre mesi. Ma i repubblicani restano decisamente contrari e sono pronti a un’altra battaglia – l’ennesima – per far naufragare i piani di Barack Obama. Il presidente resta infatti uno dei più convinti sostenitori della necessità di aiutare i più deboli per sostenere i progressi dell’economia. “Bisogna rinnovare immediatamente i sussidi di disoccupazione” – ha detto Obama in un discorso alla Casa Bianca subito dopo il voto del Senato- “Se non lo facciamo, quattordici milioni di americani affonderanno nella povertà”. Prima di lui, per introdurlo, aveva parlato Katherine Hackett, una disoccupata che ha allevato due figli che ora servono nell’esercito. “Per poter risparmiare il più possibile, tengo il riscaldamento di casa a 13 gradi e indosso il cappotto”, ha detto la donna. 

Oltre al milione e trecentomila americani che hanno perso i sussidi a dicembre, altri milioni di senza lavoro, quelli che ricevono aiuti degli Stati, vedranno ridotti gli assegni nei prossimi sei mesi. Il programma federale – introdotto dall’ex-presidente George W. Bush nel 2008, all’inizio della fase recessiva dell’economia – prevedeva che ogni americano disoccupato ricevesse una media di 1.166 dollari mensili, sino a 73 settimane consecutive senza lavoro. Il rinnovo per altri tre mesi, come vogliono Obama e i democratici, costerebbe al governo federale sei miliardi e mezzo di dollari. “Una spesa eccessiva”, secondo i repubblicani, che chiedono concessioni consistenti da parte della Casa Bianca per votare il rinnovo. “Obama rinvii di un anno l’entrata a regime della riforma sanitaria”, ha detto il capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, reiterando l’attacco all’odiatissimo (dai conservatori) Obamacare. Più realistica un’altra repubblicana, la senatrice del Maine Susan Collins, secondo cui i sussidi devono essere legati all’obbligo, per il disoccupato, della frequenza a corsi di formazione e inserimento al lavoro. 

Per i repubblicani, del resto, il leit-motiv è sempre lo stesso: gli aiuti alimentano una mentalità assistenzialistica e non invogliano il disoccupato a cercarsi un lavoro.È la tesi che nel suo discorso dalla Casa Bianca Obama ha cercato di confutare. “Nessuno è contento di non lavorare”, ha ripetuto con forza, dicendosi pronto a firmare l’estensione degli assegni di disoccupazione “immediatamente, non appena il Congresso voti una legge”. L’ipotesi che si arrivi a una estensione in modo semplice e veloce appare però improbabile. Al Senato sono non più di cinque/sei i repubblicani disposti a votare la proposta – tra questi, oltre la Collins, i moderati Mark Kirk e Bob Portman, insieme a Dean Heller, che viene dal Nevada dove gli indici di disoccupazione sono molto più alti della media nazionale. Alla Camera, a maggioranza repubblicana e fortezza dei più convinti conservatori, il rinnovo per tre mesi appare del tutto improbabile. “Non voteremo, se la legge non contiene elementi chiari per riportare la gente al lavoro”, ha spiegato il leader della Camera, John Boehner. 

In realtà, dietro la nuova battaglia sui disoccupati, si intravvede qualcosa di più ampio e decisivo. Con uno spending bill da 1000 miliardi di dollari che deve passare dal Congresso entro il 15 gennaio, è improbabile che deputati e senatori troveranno il tempo per accordarsi su una misura di aiuto a milioni di disoccupati. La sorte dei più deboli resterà con ogni probabilità incerta per mesi e andrà ad alimentare la campagna per le elezioni di midterm del prossimo novembre. “I poveri diventano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi e la classe media è sempre più schiacciata”, ha spiegato il leader democratico del Senato, Harry Reid. I repubblicani rispondono accusando Obama e i suoi di voler politicizzare la questione a fini elettorali. La polarizzazione delle posizioni è insomma alta – come sempre negli ultimi anni – e promette di fare della disuguaglianza uno dei temi più discussi della politica americana dei prossimi mesi.

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