Finite le feste natalizie sono ripresi, più che i lavori, le chiacchiere sul da farsi. E naturalmente, quando si fa riferimento alle chiacchiere, i politici italiani non sono secondi a nessuno.
E’ vero che la situazione è difficile, ma è anche vero che proprio per questo la situazione dovrebbe essere esaminata in tutte le sue componenti per cercare e trovare le soluzioni adatte. E invece si vedono sempre i soliti noti, e magari anche qualche faccia nuova, presentare sempre le solite ricette che abbiamo già visto funzionare male o non funzionare per niente.
La ricetta di Berlusconi? Quella tipica di tutti i liberisti: tagliare le tasse, liberalizzare i mercati e cancellare le leggi che danno fastidio a chi vuol far soldi.
E’ stata un disastro (anche per lui, seppure non sul piano economico), ed è finita come sappiamo.
Poi è arrivato Monti con la sua ricetta, che poi non era neanche sua dato che gli veniva imposta da chi comandava in Europa: tagli alle spese, tetto di bilancio, salvataggio delle banche (non quelle italiane, che non erano per niente minacciate, tre anni fa, dalla crisi dei mutui e dei derivati finanziari). Risultato? Un disastro anche peggiore proprio sul piano dell’economia, che si supponeva fosse il suo lato forte. Certo, ha fermato la crescita impazzita dello spread sui titoli del debito italiano ma, tradotto in linguaggio comprensibile a tutti, ha semplicemente fatto il gioco dei grandi parassiti della finanza (anche di casa nostra) che hanno smesso di temere una nostra uscita dall’euro e sono così passati ad incassare interessi da favola senza fare nessuna fatica (tuttora l’Italia paga sui bonds un tasso di rendimento circa doppio di quello che paga la Germania). A quel tempo sarebbe stato molto meglio uscire dall’euro. Non sarebbe stata una passeggiata, ma almeno avremmo potuto giocare con le nostre carte invece che con quelle che hanno favorito in modo sfacciato la Germania.
Poi è arrivato Letta e si è visto qualche miglioramento nella politica e, soprattutto, una maggiore attenzione alle imprese e al mondo del lavoro. In quantità e qualità però del tutto insufficienti a invertire davvero la rotta della recessione.
E’ inutile illudersi, nemmeno un bravissimo Letta potrebbe fare miracoli finché lo obbligano (e lui si adatta) a correre nel solco tracciato dagli ultra-liberisti europei e globali.
In termini macro-economici ci sono tre fattori che giocano non solo contro l’Italia, ma contro tutti i paesi occidentali cosiddetti ricchi.
I tre fattori sono: la moderna tecnologia avanzata, il liberismo economico, l’austerità.
La tecnologia avanzata distrugge ogni anno mano d’opera a milioni.
Il liberismo economico cancella tutti i confini e tutte le protezioni che nel secolo scorso avevano consentito la crescita economica dell’occidente.
L’austerità distrugge ogni risorsa necessaria alla ripresa.
Messi insieme questi tre fattori costituiscono una miscela mortale per tutte le economie occidentali, perché distruggono posti di lavoro a milioni, e senza lavoro per tutti non ci sarà ripresa per nessuno (salvo i ricchi imprenditori che faranno in tempo a trasferirsi all’estero nelle cosiddette economie emergenti).
Se mettiamo nel conto anche, tra non molto, una nuova possibile, e probabile, crisi globale del mercato finanziario, il cerchio è chiuso.
Non si può far niente per uscire da questa trappola?
Certo che si può. Non per quanto riguarda la tecnologia, i cui progressi sono impossibili da arrestare, ma sull’austerità ormai è assodato che in tempo di crisi fa solo danni, quindi è meglio cambiare in fretta registro. Persino i conservatori americani ormai si sono arresi all’evidenza. (Quelli europei invece sono più cocciuti, probabilmente perché dominati dalle origini teutoniche dei germanici). Occorre però agire anche mettendo un robusto freno al liberismo economico e finanziario. Tornare ai dazi è troppo, ma è inevitabile che si faccia qualcosa per conservare la nostra ricchezza dentro ai nostri confini (europei o italiani che siano). Sono anni ormai che persino i nostri imprenditori più nazionalisti si vedono costretti dalla competizione a trasferirsi all’estero. Ancora dieci anni così e se ne saranno andati tutti.