Si tende a cominciare l’anno con dei buoni propositi, dopo aver tirato le somme dell’anno precedente. Così, cerco di fare lo stesso: non per me, visto che poco mi interessa l’aspetto del singolo, quanto per l’Italia.

Rifacendomi a quanto proposto da Matteo Renzi all’ultima Leopolda credo che si possa definire fin da subito il futuro del nostro Paese, e si possa farlo anche cominciando dalla parole.

E la parola che vorrei si ricominciasse a usare nel 2014, è una delle più belle che l’Italia abbia prodotto nella sua storia: Rinascimento. La voglio usare per un semplice motivo. Perché entro dieci anni l’Italia può essere al centro di un nuovo Rinascimento. Bisogna volerlo, profondamente e con coraggio. E in primis deve, e può, volerlo la politica, ovvero chi nei prossimi dieci anni ci governerà.

Non è la superottimistica previsione di un illuso che vuole credere in maniera positiva in un futuro migliore del presente. E’ la coscienza maturata da un imprenditore che ama profondamente questo Paese, che ha deciso di non andare all’estero, di assumere e di investire (e come me tanti altri), nonostante la realtà quotidiana, e il suo continuo peggiorare, ne faccia semplicemente passar la voglia.

Rendiamoci conto, con serietà, che siamo arrivati al punto più basso della storia italiana moderna: socialmente, economicamente, ma per prima cosa culturalmente. Si può andare sempre più in basso, purtroppo, non c’è mai limite al peggio e lo sappiamo, ma questo deve essere il punto di svolta.

Nassim Taleb, uno dei più arguti filosofi dei nostri tempi, autore del Cigno nero, ha appena definito con il nuovo termine di “antifragile” ciò che trae beneficio dalle crisi, dal disordine e dalla volatilità. Ciò che trae beneficio dal turbamento e da esso trae alimento. Taleb esalta l’incertezza, rendendola necessaria e desiderabile.

Ecco, l’Italia è il Paese in assoluto più antifragile. E da questo stato di volatilità e incertezza deve saper prendere lo spunto per la sua rinascita. Esattamente come il Rinascimento è nato dal periodo più buio della storia europea, così deve e può ritornare ora, con la nostra spinta, con la spinta di chi di ne ha la consapevolezza. Si può tornare a un nuovo Rinascimento con la coscienza, maturata per il mondo, che ci sono tre miliardi di persone, di nuovi consumatori, di uomini e donne usciti dalla povertà, con mezzi e conoscenze mai a disposizione in passato, che hanno fame e sete di Italia. Che ci apprezzano molto più di quanto noi ci possiamo rendere conto. Che cercano in tutti i modi di vivere come noi. In Cina, Indonesia, Russia, Turchia, Paesi del Golfo, Messico, Corea del Sud – potrei citare diversi altri Paesi – c’è un amore per l’Italia sconosciuto a chi non ha la fortuna di visitare questi Paesi per lavoro o per turismo. A tutte queste persone abbiamo la possibilità e il dovere di offrire un nuovo Rinascimento.

Come?

Con una seria e lungimirante visione politica di una classe dirigente in tutte le sue componenti, con un piano industriale e di rilancio del Paese imperniato sull’acronimo “Tcmdc”.

Turismo: la centralità del turismo come risorsa principe di questo Paese, come nostro petrolio, cambiando le prerogative date dal titolo V della Costituzione alle Regioni in materia, mettendo a sistema le migliaia di virtuose, ma troppo piccole e frammentate realtà di successo e aiutandole ad aprirsi al mondo. Esportare l’Italia importando il mondo.

Cultura: mettendo la cultura al centro del rilancio, con la coscienza che con la cultura si mangia. Si tratta del primo reale fattore di cambiamento con il quale influenzare, in positivo, le coscienze delle persone, la loro fiducia, il loro entusiasmo.

Moda: le aziende della moda che esportano sono il biglietto da visita dell’Italia nell’immaginario collettivo, e quelle che – la realtà lo dimostra – meglio performano a livello finanziario. Un piano industriale da sistema Paese per smettere di essere in ritardo verso i Paesi dell’Oriente, aiutare a rafforzare le esportazioni verso la loro nuova classe borghese, e forse smettere di esser preda di cavalieri esteri.

Design: collegato al design anche l’artigianato. E’ un settore alla pari con quello della moda per capacità esportativa, in cui le competenze italiane sono diffuse e riconosciute, un settore in cui si fa sul serio innovazione. La politica dovrebbe rendersi conto che ci sono opportunità inimmaginabili sfruttando la terza rivoluzione industriale data dalla diffusione delle stampanti 3D e del movimento dei “makers” che è ancora agli albori e con margini di crescita esponenziali. Con leggi ad hoc e defiscalizzazione degli investimenti in Italia, unite alle competenze artigiane dei distretti, potrebbero sorgere dal nulla non una, ma cinque o anche dieci Silicon Valley del design, con un effetto sul numero di nuove imprese e sull’occupazione senza pari.

Cibo: con 30 anni di ritardo stiamo finalmente cominciando a imparare a fare retail in giro per il mondo. Con nuovi Oscar Farinetti, il patron di Eataly, incentivati e guidati da una politica che creda nell’agroalimentare italiano, possiamo realmente andare alla conquista del mondo che non aspetta altro che mangiare e bere Italia. Farinetti dice che l’export dell’agroalimentare può passare da 30 a 180 miliardi; vogliamo credere all’ottimismo di colui che ce l’ha fatta, e per primo ora rappresenta il cibo Made in Italy nel mondo, o continuare a finanziare aziende decotte soltanto per tornaconti elettorali o per la paura dei sindacati amici?

Si tratta in sostanza di una cosa semplice, straordinariamente banale nella sua verità: valorizzare le qualità migliori che abbiamo, metterle al centro di ogni agenda di governo, crearvi intorno un piano industriale con una visione di lungo periodo dimenticata dalla politica da oltre un ventennio.

Con la forza di questa apparente banalità possiamo andare in ogni parte del mondo e attrarre consumatori, cervelli e investimenti. Possiamo offrirgli la bellezza in dote, purché sia accompagnata da una visione politica di lungo termine. E sulle basi di questa bellezza possiamo, come sei secoli fa, dar vita a un nuovo Rinascimento.

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