“Una cosa mi fa sorridere. Per me Mosca, quando ero bambino, era solo quella città da cui si collegava il corrispondente durante il tg delle 20. E ora invece sono qui. E ci sto bene”. Alessandro Feliziani, marchigiano di 37 anni, ha deciso qualche anno fa di dare una svolta alla sua vita in seguito a un matrimonio finito male. Così, a volte, la fuga degli italiani all’estero è anche dovuta agli scogli che si incontrano lungo il mare della vita. “Il motivo per cui mi ritrovo qui a Mosca è la fine di un matrimonio. Non era nei miei piani rifare la valigia e salire su un aereo, ma a un certo punto è diventato quasi una necessità. Ho avuto il mio periodo di crisi, di buio pesto, come catapultato in una selva oscura senza punti di riferimento. Allora ho scoperto di avere spirito di sopravvivenza, e mi sono messo a cercare una via d’uscita. E l’ho trovata, visto che sono qui a raccontarlo”.

Alessandro è un informatico. Infanzia nelle Marche, a Grottammare, studi universitari a Bologna, Erasmus a Parigi – “vivevo con un simpaticissimo ragazzo senegalese che adorava mangiare la pasta” – e poi un’esperienza a Londra, prima come cameriere in un ristorante italiano – “e lì ho scoperto che gli italiani all’estero non sono solidali fra loro” – e poi come informatico. Poi, appunto, la crisi personale, il lavoro in una società che fornisce informazioni creditizie e aziendali e di “supporto decisionale”, e la missione a Mosca.

Tutto bene in Russia? “Sì, ma la lingua è ancora un problema, la sto imparando molto più lentamente rispetto a quanto sperassi”. La cosa che però lo inquieta di più è che i russi “sorridono poco e poi qui tutto è imprevedibile. Le priorità cambiano da un momento all’altro e tu sei costretto a rivedere i tuoi piani. Questo succede sia al lavoro che nella vita di tutti i giorni, ed è l’aspetto che mi piace di meno della vita qui. È abbastanza frequente ad esempio che la gente ti tiri ‘dei gran pacchi’, come si dice in italiano. Oppure che persone che frequenti, da un giorno all’altro scompaiano e non si rivedano più. Ecco, abbiamo una diversa gestione dei rapporti umani”. Ma, tutto sommato, “questo è ancora il Paese delle opportunità”, dall’economia in crescita e “dai paesaggi bellissimi. Ho girato molto, sono stato in Siberia, a San Pietroburgo, in Crimea, tutti posti meravigliosi. E la Russia è una buona palestra di vita, in quanto non è un posto per gente timida e riservata e quindi ti devi aprire al mondo, impari a farlo”.

A Mosca, quindi, per il caso della vita più che per necessità lavorativa. “Non escludo di tornare in Italia, prima o poi”, aggiunge Alessandro. “In realtà la mia missione doveva durare solo un anno, poi mi hanno chiesto se volevo restare ancora. Ed eccomi qui. Sento che ancora non ho colto tutto quello che questo Paese può offrire, quindi ho accettato”. Una cosa, però, gli dispiace. “Su alcune cose – osserva – la gente, qui, ha perso la speranza. A votare ci va il 30% della popolazione, altro che il nostro astensionismo. Perché tanto si sa già che vince. E la corruzione è diffusa. Ci sono anche delle tabelle con ‘minimi’ e ‘massimi’, a seconda della necessità”. E’ vero, però, che nella realtà di Mosca, ci si scontra dal punto di vista politico con il “niet” di fronte al tema dei diritti. Ma l’aspetto sociale riserva alcune sorprese. “I russi sorridono poco – conclude Alessandro – ma non significa che non siano curiosi e di compagnia. Se ti vedono seduto al bancone del bar che ti bevi una birra ascoltando un concerto, ti invitano a sederti al loro tavolo e insistono affinché tu beva vodka con loro. Chiedono, sono curiosi di sapere che cosa uno straniero pensi della Russia. Non si fanno molti problemi a fare domande, che possono risultare anche un po’ invadenti e indiscrete. Ma qui essere timidi non è vincente. Un bell’allenamento per la vita”.

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