Il governo batte cassa. E punta a mettere sul mercato entro la fine dell’anno una buona parte delle Poste Italiane. Lo stesso gruppo che, alla fine del 2013, è stato prezioso per salvare con 75 milioni di euro quel che resta di Alitalia. E’ la prospettiva che, secondo le indiscrezioni riportate dalle agenzie di stampa, è emersa dalla riunione che si è tenuta a Palazzo Chigi. Sul tavolo c’è stata soprattutto la situazione di contesto in cui va inserita l’operazione, con tutte le parti interessate presenti: per Poste l’amministratore delegato Massimo Sarmi, per Cassa depositi e prestiti l’ad Giovanni Gorno Tempini, per il Tesoro il direttore finanza e privatizzazioni Francesco Parlato e il direttore generale Vincenzo Lavia.
La riunione – informa una nota del governo – ha riguardato tematiche rilevanti rispetto alla “valorizzazione” di Poste Italiane, anche ai fini del percorso di privatizzazione della società. In particolare, è stato esaminato il tema della definizione del quadro regolatorio della convenzione tra Cassa depositi prestiti e Poste e dei crediti verso lo Stato di quest’ultima società. L’incontro è stato presieduto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, con il viceministro dello Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni, Antonio Catricalà.
Il progetto di privatizzare le Poste non è una novità. A dicembre Enrico Letta aveva annunciato la vendita di quote del gruppo già nel 2014, nell’ambito del piano di privatizzazioni da 12 miliardi messo a punto per ridurre il debito pubblico. In ogni caso si dovrebbe trattare di una quota di minoranza. La partecipazione che sarà messa sul mercato, secondo le indiscrezioni riportate da fonti governative all’agenzia Reuters, sarà pari al 30-40 per cento.
“E’ esclusa la cessione di una quota di maggioranza”, ha detto una prima fonte, spiegando che l’esecutivo vuole cedere quote di Poste Italiane Spa, ma non delle controllate. “Si preferisce questa soluzione piuttosto che procedere a uno spezzatino vendendo magari Poste Vita o Banco Posta e lasciando in difficoltà il resto dell’azienda”, ha aggiunto. Anche se nell’ottobre scorso, lo stesso Sarmi aveva auspicato che un’eventuale “valorizzazione” di Poste da parte del Tesoro – che la controlla al 100% – coinvolgesse l’intera azienda e non solo singole società del gruppo.