Le commemorazioni dei 60 anni della Rai, cominciate maluccio il 3 gennaio (un Techetechete di quasi tre ore divertente e leggerino, non molto diverso da quelli estivi, e un Tv7 scipitissimo sull’informazione che si limitava ad allineare i fatti salienti di ogni anno riprodotti in immagini televisive) sono finite peggio, con un Porta a Porta senza capo né coda che ospitava nel salotto ormai un po’ marginale di Vespa alcuni protagonisti del servizio pubblico. Forse neanche i più rappresentativi, almeno in chiave storica.
E così è partito il gioco del “c’era questo, non c’era quello” e chissà perché? Chi è stato dimenticato e chi volutamente escluso, censurato? La cosa era accaduta esattamente uguale dieci anni fa, in occasione del Cinquantenario. Anzi, in quel momento, con una Rai fortemente berlusconizzata, fresca di editto bulgaro, il gioco era stato ancora più duro. Ora, fermo restando che alcune assenze dal salotto – Baudo, Arbore, Minoli per fare qualche nome – sono parse così prevedibili (e così chiaramente comprensibili a chi conosce un minimo delle relazioni interne all’azienda) da sfociare nel massimo del ridicolo, il problema, come si suol dire, non è questo. Il problema vero è la rinuncia programmatica a qualsiasi riflessione, a ogni approfondimento sul ruolo che la Rai ha svolto nella storia della nazione.
E pensare che ci sarebbero mille spunti su cui imbastire il discorso: dalla partecipazione negli anni Cinquanta e Sessanta ai processi di modernizzazione del Paese (e qui fondamentale fu la presenza di Carosello) agli interventi di costruzione della cittadinanza, dal tentativo di conciliare il conflitto pasoliniano sviluppo/progresso (riuscito? banalizzato? confessionalizzato?) alla crisi negli anni Ottanta della Rai assediata e spiazzata dalla discesa in campo e poi dall’egemonia di un tipo di televisione ispirata a una filosofia ben lontana da quella del pubblico servizio.
Sia chiaro che parlando di riflessione e approfondimento di questi temi non penso a un programma di taglio educational, a un approccio accademico con tutto il carico di noia che questo può generare. Penso piuttosto ai modelli di effervescente vivacità proposti da Arbore, quando organizzò le serate di celebrazione dei 60 anni della radio o alle mitiche serate che Beniamino Placido dedicava, con uguale brillantezza, a grandi e impegnativi personaggi storici: Garibaldi, Manzoni, Marx. Insomma, possibile che non si riesca a progettare una “serata 60 anni Rai” come quelle? Certo Beniamino Placido non c’è più, ma qualcuno che voglia seguirne le orme ci sarà pure, anche all’interno dell’azienda. E comunque Arbore c’è sempre.