È stato il generale di ferro, l'uomo dell'operazione Pace in Galilea con l'invasione del Libano meridionale, il politico considerato responsabile del massacro di Sabra a Shatila, il sostenitore delle colonie in Cisgiordania e a Gaza e il primo ministro che decise unilateralmente il ritiro israeliano dalla Striscia.
E’ “la fine di un’era”, titolano i media israeliani annunciandone la morte avvenuta sabato 11 gennaio nell’ospedale di Tel Ha Shomer, nei pressi di Tel Aviv, dove era ricoverato. Ariel Sharon è stato il generale di ferro, l’uomo dell’operazione Pace in Galilea con l’invasione del Libano meridionale, il politico considerato responsabile del massacro di Sabra a Shatila, il sostenitore delle colonie in Cisgiordania e a Gaza e il primo ministro che decise unilateralmente il ritiro israeliano dalla Striscia.
Sharon, classe 1928, è stato un leader controverso ed emblematico tanto nel mondo militare quando politico di Israele. Come ricorda il Guardian, è stato una figura demoniaca per palestinesi e arabi. Allo stesso tempo fu anche un eroe per la sua gente. Immagini simbolo sono quelle che lo ritraggono con la testa fasciata, accanto all’allora ministro della Difesa Moshe Dayan, alla guida della controffensiva israeliana durante la guerra dello Yom Kippur nel 1973, di fatto salvando Israele dalla prima ipotetica sconfitta militare.
L’altra immagine è la statua scandalo che nel 2010 lo raffigurò in un letto d’ospedale. Quello stesso letto in cui giaceva in coma dal gennaio 2006, quando scomparve dalla scena politica, colpito prima da ictus e poi da emorragia cerebrale. All’epoca era primo ministro, impegnato ad andare alle urne con la sua nuova creatura politica, Kadima, il partito centrista che aveva costituito dopo la rottura con la formazione di centro-destra del Likud e che a marzo dello stesso anno sarebbe diventato il primo partito d’Israele, guidato dal premier ad interim, Ehud Olmert. Pochi mesi prima si era consumato lo strappo con i coloni, con gli sgomberi di quanti non avevano accettato il ritiro dei soldati e l’abbandono degli insediamenti nella Striscia di Gaza. Insediamenti che nei decenni aveva sostenuto e contribuito a costruire nei Territori occupati, in particolare negli anni Novanta del secolo scorso alla guida dei ministeri per la Casa e delle Infrastrutture.
“La decisione più difficile della mia vita di politico, generale, ministro e premier”, disse nel 2004, presentando il piano di disimpegno unilaterale dalla Striscia, senza accordo con i palestinesi. Una decisione possibile per quella che David Landau sulla Bbc definiva nel 2010 la sua capacità di “tenere il governo” e dare l’impressione che qualcuno fosse al comando. Il giornalista, già direttore di Haaretz, sottolineava inoltre come, uscito di scena Sharon, il suo successore Olmert si imbarcò nel conflitto contro i libanesi di Hezbollah nel 2006 e nell’operazione Piombo Fuso contro Gaza a cavallo tra dicembre 2008 e gennaio 2009. Mentre il governo di Benjamin Netanyahu, orientato sempre più verso destra, ha segnato il congelamento del processo di pace e il raffreddamento dei rapporti con l’alleato statunitense.
Le scelte dell’ultima parte della carriera politica di Arik, come Sharon è chiamato in patria, non possono tuttavia oscurare i fatti precedenti della vita militare e politica. La memoria torna indietro fino al 1953. Il nome dell’appena 25enne Sharon è legato al massacro di Qibya, in Cisgiordania, operazione di rappresaglia per la morte di una donna e due bambini, nella quale furono fatte saltare in aria decine di abitazioni e furono uccisi almeno 67 palestinesi.
L’ex primo ministro è soprattutto considerato responsabile per il massacro nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, nella periferia di Beirut, compiuto dalle milizie falangiste cristiane nel 1983. La zona era sotto il controllo israeliano e le truppe agli ordini dello stesso Sharon, al vertice del dicastero della Difesa. Niente fu fatto per evitare che i miliziani entrassero nei campi e perpetrassero la strage di centinaia palestinesi. L’anno seguente Sharon fu rimosso dalla carica di ministro della Difesa, sia per le responsabilità “indirette” nel massacro sia per essere stato la mente dell’invasione israeliana nel sud del Libano per fermare le azioni dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat. Nel 2001, familiari delle vittime del massacro chiesero l’incriminazione di Sharon per genocidio e crimini di guerra. Il procedimento fu bloccato nel 2003 dalla corte di Cassazione perché la legge sulla giurisdizione universale prevede che i casi debbano riguardare cittadini belgi o residenti da tempo nel Paese. A settembre 2000 intanto c’era stata la “passeggiata” sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme. L’atto di sfida che diede inizio alla seconda Intifada palestinese cui da primo ministro reagì isolando Arafat dal resto del mondo.
di Andrea Pira