Il successo dei bitcoin tra gli speculatori non solo è un paradosso ma conferma che dietro la moneta, di qualsiasi tipo essa sia, non c’è nulla di concreto, soltanto un atto di fede.
Iniziamo dal paradosso. All’inizio di gennaio del 2009 compare in rete il bitcoin, nessuno sa bene chi lo abbia inventato, sicuramente si è trattato di uno o più hacker che hanno scelto lo pseudonimo Satoshi Nakamoto. La leggenda vuole che il bitcoin fosse la risposta di costui o costoro alla crisi del credito del 2008, all’uso del denaro pubblico, dei risparmi dei contribuenti per salvare i giganti di Wall Street. Si dice anche che Satoshi, chiunque esso sia, facesse parte del movimento Cypherpunk, nato negli anni Ottanta sulla scia dell’omonimo movimento musicale, che vuole liberalizzare l’informazione e distruggere un sistema basato sul suo controllo e sui privilegi.
La leggenda vuole insomma che Satoshi ed i bitcoin siano pane per il popolo, il primo sicuramente vuole sostituire un sistema equo, trasparente ed accessibile a tutti alla creazione della moneta da parte delle banche centrali, controllate da un élite bancaria che ne è la sola beneficiaria e che ormai governa il mondo – fa eleggere i presidenti, gestisce il Fondo monetario e de facto controlla anche i nostri conti in banca. Il bitcoin è lo strumento attraverso il quale il popolo, o almeno quello che naviga in rete, può riconquistare la sovranità monetaria. Insomma come Prometeo Satoshi ci ha dato il fuoco per conquistare la libertà.
Non è facile in poche parole spiegare il meccanismo attraverso il quale ci liberemo della schiavitù della moneta cartacea stampata dalla Bce o dalla Fed, ma proviamoci. All’origine della creazione dei bitcoin ci sono complessissime formule matematiche che offrono soltanto una soluzione e che non sono reversibili, le hash. Ogni volta che qualcuno ci riesce crea bitcoin, ma prima che l’operazione si concluda c’è bisogno dell’approvazione di tutta la comunità che li maneggia. Ogni soluzione è poi legata a quella precedente ed alla successiva in una catena temporale che è iniziata a gennaio del 2009 e finirà quando tutti i 21 milioni di bitcoin nascosti in rete saranno stati letteralmente ‘estratti’ dal web. Chi si dedica a questa attività infatti lavora come in miniera, così nel gergo si parla di estrazione e di minatori. La concatenazione delle soluzioni, come le vene minerarie, è il filo conduttore della produzione dei bitcoin e garantisce il massimo di trasparenza e di sicurezza contro la contraffazione.
E veniamo al paradosso: dal 2009 quando è comparso il valore del bitcoin è passato da 0 fino a 1200 dollari (il picco dello scorso novembre). Il motivo? La speculazione. E chi specula non sono gli adolescenti che passano la vita in rete o su facebook, neppure gli impiegati ai quali viene tagliato lo stipendio ad ogni manovra finanziaria, ma i giovanotti di Wall Street. Sono nate squadre di minatori pagate dalle grandi banche e finanziarie che usano computer velocissimi e tecniche sempre più complesse per estrarre i bitcoin. Per ora grazie all’aumento della complessità delle soluzioni man mano che si estraggono i bitcoin (siamo a quota nove milioni) ed al sistema di verifica, la creazione dei bitcoin è stabile ma il valore, il valore non fa che salire perché tutti vogliono far parte di questa ennesima speculazione. E chi ci guadagna? I soliti noti.
E veniamo all’atto di fede. Che il valore di una moneta creata in rete da non si sa bene chi, la cui produzione è legata a soluzioni matematiche complessissime che richiedono programmi informatici passi da 0 a 1200 dollari in 3 anni, non sorprende perché rientra nella passione per il gioco d’azzardo che brucia dentro gran parte dell’umanità, e quindi su questo c’è ben poco da dire, ma che questa stessa moneta inizi ad essere usata per gli scambi da individui comuni, ecco questo può essere spiegato soltanto come un atto di fede.
In fondo tutte le monete oggi esistono in base ad un atto di fede che chi le maneggia esprime nel momento in cui le usa per scambiare bene e servizi. Dietro al dollaro o all’euro non c’è una riserva di ricchezza, e cioè lingotti d’oro o tonnellate d’argento, ne’ si può parlare di industrie o risorse, come il petrolio o il gas naturale, la creazione di moneta avviene invece attraverso l’emissione del debito, un principio che come la soluzione delle formule dei bitcoin non ha nulla a che vedere con la ricchezza di una nazione, anzi in un certo senso le va contro. E’ però un principio come un altro accettato come un dogma religioso da chi queste monete le usa ed in nome del quale, a giudicare dalla storia, si è disposti a tutto.
Riflettiamo su questi principi: nell’immaginario collettivo il dollaro, l’euro come il bitcoin, monete prodotte dal nulla, sono simboli di una divinità monetaria, l’ultimo sicuramente rientra in una categoria sui generis perché potenzialmente tutti noi possiamo farne parte ma de facto solo chi ha strumenti costosissimi e particolari può produrlo. Come le indulgenze medioevali chi stampa o estrae queste monete si arricchisce, e chi le usa non solo non va in Paradiso ma finisce per impoverirsi.