Il Capitale Umano non è un film razzista e dipinge una certa Brianza né più né meno di quella che è. Messe da parte le ormai dissolte – ma erano inconsistenti ab origine – polemiche leghiste, si può rispondere all’appello del regista Paolo Virzì che giustamente, dopo tanti film e molti successi, rivendica il diritto a una critica costruttiva.
Il suo è un film imperfetto, che fa lasciare la sala cinematografica con un senso di insoddisfazione frustrante perché, nonostante la bravura del cast, il nitore della fotografia, la regia equilibrata, risulta monco. La divisione in quattro capitoli – Dino, Carla, Serena e il Capitale umano – trascura emotivamente e narrativamente proprio quella che avrebbe dovuto essere la figura più importante della pellicola ovvero il ciclista che muore dopo essere stato investito. Un personaggio questo – con cui il regista avrebbe dovuto farci entrare in empatia – e che invece viene relegato nello spazio di una figurina; inserito a stento nell’album principale. Un tassello quasi insignificante, neanche un comprimario. Messo lì in una tabella, come quella della quantificazione del risarcimento dei danni.
Era sul cameriere di mezza età con moglie e figli, che la capacità di emozionare – che il regista livornese ha più volte dimostrato per esempio come ne La prima cosa bella – avrebbe dovuto concentrarsi. Virzì avrebbe dovuto dare spessore e vita vera a quell’uomo e al personaggio, così tragicamente e teleologicamente funzionale alla storia.
Così poco contano le ottime interpretazioni di un cast scelto con evidente cura, la fotografia che scandisce i tempi con precisione e colori giusti, la regia che appare sicura come sempre. Il film disperde totalmente il capitale artistico che il romanzo di Stephen Amidon poteva generare sul grande schermo. Virzì, così, si comporta come i suoi personaggi che appaiono alieni e lontani da qualsiasi vera vita e non fanno né ridere né piangere. “Il libro mi ha turbato. È un thriller dell’opulenza che genera povertà e infelicità ovunque” aveva detto il regista spiegando il motivo che lo aveva spinto a girare il film. Ma nulla di tutto ciò, turbamento infelicità e povertà – è possibile trovare nella sua opera. E purtroppo neanche l’arte che ci si poteva aspettare.