'E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte' contiene i ricordi della figlia del magistrato assassinato con la scorta il 29 luglio 1983 a Palermo. "Non è stato 'solo' l'inventore del pool antimafia, ma anche un papà sempre presente, un uomo affettuoso e generoso - racconta Caterina - Ma non chiamatelo 'eroe' perché era speciale in modo normale"
“Ci sono voluti tanti anni per attraversare il dolore in tutte le sue fasi, metabolizzarlo, e scegliere di far conoscere Rocco Chinnici non soltanto come magistrato di grande spessore professionale. Voglio raccontare il Rocco Chinnici uomo e padre. La sua umanità, la profonda generosità, la capacità di fare attenzione alle piccole cose e soprattutto il padre sempre presente per noi figli, che ci ha trasmesso quei valori che hanno consentito di ricostruirci una normalità anche dopo la sua morte”. A parlare è Caterina, primogenita del magistrato Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia il 29 luglio 1983 a Palermo, in via Pipitone Federico. Una Fiat 127 imbottita di tritolo esplode di fronte alla sua abitazione lasciandolo a terra insieme agli uomini della scorta e al portiere dello stabile dove viveva. Da quel giorno la vita di Caterina e di tutta la famiglia Chinnici è cambiata irrimediabilmente.
“Sicuramente quel bacio, leggero e appena accennato che anche da adulta ha continuato a darmi, è uno dei ricordi più belli. Era il suo modo per dirmi che mi voleva bene. Un altro episodio significativo che non dimenticherò è stato quando ho fatto il concorso in magistratura. Non si è allontanato un attimo. È rimasto tre giorni con me a condividere quel momento. Se sono diventata magistrato è perché papà mi ha trasmesso l’amore e la passione per la giustizia. Ne è sempre andato fiero. Anche se, quando sono cominciate le minacce per lui, non voleva che io facessi il giudice a Palermo perché si rendeva conto del rischio”.
Rocco Chinnici confida a Paolo Borsellino di avere la “religione del lavoro”. E in effetti il suo impegno costante lo porta anche a trascurare la famiglia. Ma non avrebbe mai accettato di essere chiamato “eroe”. “Mio padre era un uomo molto semplice – continua Caterina – Comprendeva l’enorme responsabilità della sua attività e il rischio che comportava. Il suo era un impegno di cittadino che credeva in quei valori e si adoperava per la propria terra. Per questo non gli sarebbe piaciuto esser chiamato ‘eroe’. Per lui era normalità”. A casa il giudice parla poco del suo lavoro. Ma quando lo fa, racconta ai figli l’oppressione che la mafia esercita in Sicilia. “Ci diceva che la criminalità stava comprimendo i diritti dei cittadini, impedendo lo sviluppo economico, culturale e sociale della nostra terra”.
Caterina Chinnici segue le orme del padre. Anche lei oggi è magistrato, capo dipartimento per la giustizia minorile di Roma, in prima linea nella lotta alla mafia e da tempo sotto scorta. “La criminalità organizzata non è stata ancora sconfitta. Dobbiamo continuare a lavorare tanto per contrastare una mafia che, come diceva sempre mio padre, ha una capacità straordinaria di trasformarsi rimanendo se stessa. Oggi non è più militarizzata, ma sappiamo che è riuscita a inserirsi in diversi contesti della nostra società confondendosi con essa e rendendo più difficile la sua individuazione”.
Magistratura e forze dell’ordine combattono ogni giorno per contrastare i clan. C’è però un lavoro culturale da continuare, soprattutto tra i giovani. “La vera vittoria sulla mafia avverrà con un definitivo cambiamento della mentalità. Oggi fortunatamente avvertiamo una sensibilità diffusa tra la gente. Abbiamo visto manifestazioni bellissime in questi ultimi anni: a Caltanissetta i ragazzi sono scesi in strada a fare da scorta civica ai magistrati che avevano subito minacce. Il fatto che i giovani abbiano avuto questa reazione, autonoma e genuina, mi riempie di speranza”.