“La trattativa tra lo Stato e la mafia non è una cosa che appartiene al passato, ma riguarda il nostro presente”. Così il direttore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro ha aperto l’incontro organizzato dal giornale a Palermo, dove più di duemila persone hanno riempito la platea del cinema Golden. “A che punto sono la mafia e l’antimafia” è il titolo del dibattito organizzato per sottolineare la solidarietà ai pm Antonino Di Matteo, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, titolari dell’inchiesta sulla Trattativa e destinatari nelle ultime settimane di pesanti minacce di morte. Dopo aver appreso delle minacce – ha spiegato Padellaro – abbiamo pensato: adesso si muoveranno le istituzioni politiche, si muoverà la macchina del sostegno, della solidarietà concreta. Abbiamo aspettato e purtroppo questo appoggio non lo abbiamo visto”. “Cosa fanno i magistrati? – si è chiesta la giornalista Barbara Spinelli – Guardano nel groviglio per capire come si è formato, con le complicità di chi. Cercano di dire l’indicibile, un aggettivo che ha adoperato Loris D’Ambrosio nella lettera a Napolitano del 18 giugno 2012 chiedendosi se non fosse stato negli anni ’90 un utile scriba per indicili accordi. Siamo stanchi di parole che oscurino i reati. Chi vuole che le cose restino indicibili per forza è attratto dal silenzio: parla per allusioni”. Roberto Scarpinato, procuratore generale della Repubblica a Palermo. “Quando abbiamo appreso dei propositi di morte di Riina ci siamo posti alcuni interrogativi. Il primo è che quelle minacce non sembrano avere una causale apparentemente adeguata. Le stragi del 92 e 93 erano una reazione alle sentenze del maxiprocesso e quindi una vendetta contro i politici che non avevano rispettato i patti, e contro Falcone e Borsellino che avevano istruito quel processo. Ma una strage che oggi dovrebbe colpire Di Matteo e gli altri magistrati che indagano sulla Trattativa, che scopo avrebbe? Il processo sulla Trattativa avrebbe conseguenze pratiche insignificanti per Riina”. E’ entrato nel merito del patto tra Stato e istituzioni anche il vicedirettore del Fatto Marco Travaglio. “A me ha molto colpito un filmato della deposizione del generale Mori alla corte d’assise di Firenze che presiedeva il processo sulle stragi del 93. Mori, sosteneva che dopo la strage di Capaci andò da Ciancimino e disse: ma che cos’è questo muro contro muro, ma non si può parlare con questa gente? Cioè invece di combattere la mafia, si dice: ma non si possono ripristinare le larghe intese che durano da 40 anni?” Alla fine, anche i pm sono saliti sul palco per ringraziare il pubblico della vicinanza manifestata. “Noi – ha assicurato il procuratore aggiunto Teresi – faremo solo un processo che finirà con una sentenza e ci auguriamo che quella sentenza indichi un punto di verità. Ma ci sono altri punti e percorsi di verità che vanno intrapresi: non dovete mai credere che l’unico modo per accertare la verità di un fatto sia soltanto un processo penale”. “E’ un momento importante di sostegno e di conforto per noi – ha invece spiegato Di Matteo – Più importante di qualche silenzio istituzionale, più importante delle tante difficoltà che vengono frapposte alle nostre indagini. Sentire che i cittadini seguono il nostro lavoro, ci riporta all’essenza del nostro operato: il servizio alla collettività per accertare la verità. Senza verità non c’è democrazia” di Giuseppe Pipitone e Silvia Bellotti
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