Non sono solo gli istituti medio-grandi guidati da quegli strani soggetti che si chiamano Fondazioni a minare le fondamenta del sistema bancario italiano. Gli uomini di Ignazio Visco da due anni a questa parte, ossia da quando si è insediato sulla poltrona che fu di Mario Draghi (novembre 2011), stanno controllando a tappeto le piccole banche italiane. Già, perché Monte dei Paschi di Siena, Carige e Banca Marche, le tre banche che hanno registrato le maggiori perdite negli ultimi due anni e per questo finite sotto i riflettori dei media lo scorso anno, sono solo la punta di un iceberg e di un fenomeno molto più vasto e complesso. Basta leggere i recenti rapporti sull’attività di vigilanza di Palazzo Koch che, anche se non direttamente, mettono in discussione il tanto decantato, soprattutto nelle tavole rotonde e convegni in provincia, “radicamento territoriale” delle banche italiane.
Soprattutto dei piccoli e piccolissimi istituti locali, che costituiscono la vera spina dorsale del campanilismo italiano, e che sono raggruppati in due galassie: quella delle Popolari e quella delle Bcc. Assieme raggruppano quasi 2,5 milioni di soci, tanti quanti gli abitanti di Torino e Milano messi assieme. Bene, lo scorso anno Popolari e Bcc hanno segnato il maggior numero di istituti ancora sotto “amministrazione straordinaria“: 8 su 12. A partire dal commissariamento della Popolare di Spoleto (che ha abbandonato lo status cooperativo nel 1992 ma è controllata dalla Spoleto Crediti e Servizi Scrl), l’8 febbraio 2013, cui sono seguiti provvedimenti a raffica nei confronti delle Bcc: Banca Credito Cooperativo di Bene Vagienna in Piemonte, Bcc del Veneziano e la Bcc Euganea e Ospedaletto in Veneto (che si sono aggiunte a quella di Monastier e del Sile commissariata nel 2012), la Bcc di Alberobello e Sammichele di Bari in Puglia, la Banca dei Due Mari Credito Cooperativo in Calabria e la Bcc di S.Francesco in Sicilia (quest’ultima in amministrazione straordinaria dall’agosto 2012). Come presupposti per l’adozione dei provvedimenti straordinari Via Nazionale menziona “gravi irregolarità nell’amministrazione, gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie e gravi perdite previste del patrimonio”. L’escalation di commissariamenti di piccoli istituti non deve stupire, se si leggono i dati contenuti nella relazione sulla gestione e sulle attività della Banca d’Italia al Parlamento dello scorso 31 maggio e relativi ai due anni precedenti: la quasi totalità degli interventi di Vigilanza, per prevenire e accertare le situazioni aziendali critiche e in peggioramento, hanno riguardato infatti i piccoli istituti del Credito Cooperativo e le Popolari.
Una situazione che continua a preoccupare e non poco i vertici di via Nazionale: nel 2011 infatti, a Palazzo Koch regnava Draghi (almeno fino a novembre), ben 346 su 577 audizioni hanno riguardato i vertici delle piccole Bcc e 175 i manager delle Popolari e delle piccole banche locali. Sempre nello stesso anno delle 586 lettere di richiamo, 304 sono state recapitate alle Bcc e 255 alle Popolari. Numeri che sono poi aumentati l’anno seguente: su 1.250 interventi di vigilanza effettuati dagli uomini di Palazzo Kock, 706 hanno riguardato le Bcc (356 lettere di richiamo e 350 audizioni) e 458 le Popolari (238 audizioni e 220 lettere di richiamo). Nel 2010 gli interventi totali furono 936 (314 in meno rispetto al 2012), di cui 568 nei confronti delle Bcc e 264 delle Popolari e piccole banche locali. L’importanza del mantenimento di un ambiente salubre da parte di Bankitalia non solo tra i grandi gruppi nazionali – dalla fine del 2014 ci penserà direttamente la Bce, cui passerà la vigilanza sui primari istituti – ma anche tra i piccoli istituti che della territorialità hanno fatto la propria vocazione e orizzonte di business è di vitale importanza anche per il sistema Italia: Popolari e Bcc sostengono gran parte delle piccole imprese italiane. Una situazione che rende il nostro Paese simile alla Germania, il cui sistema economico poggia in gran parte sulle Raiffaisen, da cui presero ispirazione nell’800 le nostre piccole casse di risparmio e Bcc, Volksbank e Landesbank. Istituti gestiti ancora oggi nel Lander più con criteri politici e “famigliari”, come ha recentemente sottolineato l’Economist, lontani anni luce dai parametri imposti ai grandi istituti dalle authority europee e che, proprio per volere di Berlino, rimarranno sotto le autorità di vigilanza nazionali.
“Territorialità” fa spesso rima con prestiti agli amici degli amici, usanza che pare diffusa non solo in Italia ma anche tra coloro che hanno passaporto tedesco. Dunque con la doppia vigilanza, Bcc e Popolari, al pari delle Lanesbank, continueranno a fare quello che facevano prima? Bankitalia non ha fatto certo sconti negli ultimi tre anni. Visco vuole evitare la replica su scala nazionale di una delle vicende più note degli ultimi anni: quella del Credito Cooperativo Fiorentino, guidato fino all’estate 2010 dal coordinatore del Pdl, Denis Verdini, quando venne commissariato per poi cessare di esistere nel marzo 2012 quando fu sottoposto a liquidazione coatta amministrativa da Bankitalia, dopo quasi cento anni di attività. Le piccole banche italiane oggi sembrano aver recepito il messaggio: stando a un recente studio sulla domanda e offerta di credito in tutta Italia, Palazzo Koch evidenzia come in tutte “le aree del Paese le banche di minori dimensioni hanno seguito politiche di erogazione maggiormente selettive” e “hanno continuato a risentire dell’aumento del rischio percepito dagli intermediari sulle prospettive dell’attività economica in generale e di specifici settori e imprese”. Detto altrimenti, prestano soldi con più prudenza rispetto al passato. Il pressing di via Nazionale, tuttavia, sembra avere anche un altro obiettivo: spingere molte banche ad aggregarsi per rimanere al passo coi tempi e garantire una maggiore solidità patrimoniale agli istituti, magari rinunciando a qualche poltrona, ma ampliando il territorio di attività. Il “modo tradizionale” di fare banca, insomma, sembra destinato a tramontare al di qua delle Alpi, anche se è molto improbabile la nascita di un colosso tipo Crédit Agricole, che raggruppa le banche regionali d’Oltralpe, o Rabobank in Olanda, nata quarant’anni fa dalla fusione di 152 piccole banche cooperative agricole. Almeno per ora.