Otto Paesi Ue hanno inviato una lettera alla Commissione europea per chiedere un obiettivo ambizioso sulle energie rinnovabili in vista della presentazione del cosiddetto “pacchetto clima ed energia” per il 2030. La firma dell’Italia deve aver stupito non poco i funzionari della Commissione europea visto che proprio al Belpaese lo scorso settembre è stato ufficializzato l’aggravamento di una procedura d’infrazione riguardante il recepimento di una direttiva Ue 2009 sulle rinnovabili.
“Un target per l’energia rinnovabile rafforzerà la competitività europea e porterà più crescita e occupazione” scrive nella lettera il ministro dell’ambiente italiano Andrea Orlando insieme ai colleghi degli altri sette Paesi Ue (Francia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Irlanda e Portogallo). Insomma un invito aperto e largamente condiviso affinché Bruxelles non sia timida nello stabilire gli obiettivi del prossimo pacchetto normativo clima ed energia che sarà presentato il prossimo 22 gennaio. Si tratta di un appuntamento chiave della strategia europea di lotta al cambiamento climatico, contenimento delle emissioni di CO2 e sviluppo di fonti di energia pulita per i prossimi 15 anni. Il naturale proseguo dei cosiddetti obiettivi “20/20/20” fissati per il 2020, ovvero ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto ai valori del 1990, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili.
L’obiettivo degli otto Paesi firmatari è quello di appoggiare la Commissione nel proporre un obiettivo di riduzione del 40% delle emissioni di CO2 e di una quota del 30% di consumo di energia da rinnovabili. Un incoraggiamento doveroso visto la ritrosia di alcuni Paesi, come la Gran Bretagna, che preferirebbero un unico obiettivo unicamente sulla riduzione di gas ad effetto serra, come ha confermato il ministro all’energia e al cambiamento climatico Ed Davey. Secondo Londra, infatti, un unico obiettivo darebbe più flessibilità ai governi nazionali, che potrebbero decidere “come” ridurre l”emissioni di CO2, ad esempio tramite la costruzione di nuovi impianti nucleari o puntare sull’efficienza energetica. Ma ecco il paradosso tutto italiano: proprio per non aver ancora notificato a Bruxelles le misure prese per trasporre nella legislazione nazionale la direttiva del 2009 sulle energie rinnovabili, che doveva essere adottata al più tardi entro il 5 dicembre 2010, l’Italia si è vista aprire – insieme alla Spagna – una procedura d’infrazione nel 2011, poi aggravata il 26 settembre 2013 con un altro richiamo ufficiale da parte della Commissione.
Insomma una posizione imbarazzante dalla quale esortare Bruxelles ad andare avanti sulle rinnovabili. Come se non bastasse, secondo una recente indagine della società EY (“Renewable Energy Country Attractiveness Index”), il mercato italiano delle fonti di energia rinnovabile è sceso dal decimo al dodicesimo posto nel mondo complice i mancati investimenti e un livello tecnologico generalmente più basso. L’Italia non rappresenta un esempio da seguire per le tematiche ambientali in Europa: con le sue 22 infrazioni aperte ad oggi sull’ambiente, su un totale di 104, siamo tra le maglie nere d’Europa. Primi assoluti nel 2012, secondo l’ultimo rapporto redatto dalla Commissione europea, con il numero record di 99 casi (a seguire Belgio con 92, Spagna con 91, Polonia con 82 e Grecia con 81). La maggior parte sono per mancato o non corretto recepimento di direttive comunitarie, passando per casi singoli come la discarica di Malagrotta e l’Ilva di Taranto. E poi, come detto, ci sono le energie rinnovabili.
@AlessioPisano