Alma Shalabayeva è tornata a Roma e ringrazia la Farnesina. L’ex capo di gabinetto di Alfano, Procaccini: "Anche lei deve spiegare alcune cose su quei giorni"
Giuseppe Procaccini è in campagna con la sua famiglia nel giorno in cui Alma Shalabayeva torna in Italia con la figlia Alua. L’ex capo di gabinetto di Alfano è l’unico che si è dimesso a luglio. Mentre il ministro Alfano è rimasto al suo posto. “Per me un uomo di Stato si prende la responsabilità anche quando non è sua”, dice al Fatto.
Procaccini dopo le dimissioni disse che non dormiva al pensiero di Alma e Alua. Oggi cosa direbbe alla signora?
Sul piano umano sono più sereno ora che è tornata. Mi dispiaceva pensare a una donna trattenuta contro la sua volontà. Però le chiederei anche perché non ha detto nulla in quelle ore sulla sua condizione. E perché non hanno detto nulla i suoi avvocati. Qualcosa non mi convince ancora oggi in questa storia.
Certo è stato anomalo anche il comportamento della Polizia
Anche io oggi mi chiedo, di fronte a un attivismo così esaperato ed esasperante dell’ambasciatore del Kazakistan, di fronte all’eccesso di zelo e alla presenza di un’agenzia investigativa sul posto, come mai non sia scattata una lampadina in chi agiva, anche se all’inizio Ablyazov era stato presentato come un grande criminale.
Ma non sarà che quella lampadina non scattò proprio perché la Polizia era stata avvertita che quell’operazione interessava al ministro dell’interno Alfano?
Non penso. Quando c’è una segnalazione di un pericoloso ricercato, come quella dell’Interpol, con l’ambasciata del Kazakistan che dice che possono esserci uomini armati nella villa, è ovvio che si agisca così.
Quindi non c’è stata un’anomalia?
L’anomalia è sicuramente un ambasciatore che si presenta a notte fonda al ministero. Ma è un’anomalia relativa perchè prima era stato negli uffici della Polizia.
É una doppia anomalia se è preceduto dalla telefonata del ministro dell’interno al capo di gabinetto. Cosa le disse Alfano?
Mi disse “io non so come fare, c’è l’ambasciatore kazako che mi vuole vedere per una vicenda che può interessare, per la sua pericolosità, la pubblica sicurezza”. Il ministro mi disse di riceverlo ma non mi parlò di Ablyazov. Allora io andai nell’ufficio a incontrarlo. Certo è una cosa molto singolare. Ma bisogna vedere il contesto: non c’era il Capo della Polizia. Era notte. L’ambasciatore è venuto nel mio ufficio alle nove e mezza di sera.
Alfano non le ha mai detto come entrò in contatto con l’ambasciatore kazako. Qualcuno lo racomandò? Magari il collaboratore di Berlusconi, Valentino Valentini, o l’Eni come ha sostenuto un testimone anonimo in un’intervista a Report?
Io Valentini non lo conosco nemmeno e non so chi avesse interessi in questa storia. Una cosa è certa: non c’è stata alcuna connivenza degli apparati del ministero dell’interno.
Nessuna telefonata dall’Eni o da altri politici?
Magari. Mi sarei insospettito.
Davvero nessuno le disse nulla del rimpatrio con un volo privato di madre e figlia?
Io non sapevo nulla del rimpatrio della signora. Quando la vicenda è uscita io ho chiesto una relazione. Molti giorni dopo il blitz nella villa di Casal Palocco, solo quando è esploso il caso sulla stampa, ho riletto un messaggio inviatomi dal capo della segreteria del Dipartimento, Alessandro Valeri, sul mio telefonino, il giorno dopo la venuta dell’ambasciatore kazako.
E cosa c’era scritto?
Il prefetto Valeri mi informava che era stato effettuato quell’intervento per quel ricercato dall’Interpol. Aveva dato esito negativo e lui avrebbe avvertito l’ambasciatore Kazako. Punto.
Non una parola sull’espatrio della moglie e della figlia?
Nulla.
Eppure si è dovuto dimettere.
Non volevo si dicesse che nessuno pagava. Allora ho detto: ’Mi prendo la responsabilità e vi do un segnale: nella vita un uomo di Stato è responsabile anche quando non lo è’. Se uno avverte il peso della funzione esercitata deve essere pronto anche a dimettersi.
Alfano e il ministro Cancellieri, invece, restano al loro posto.
Ognuno è fabbro della propria fortuna. Se si fa qualcosa per gli altri si è fatto per sé stessi. Il mio gesto è servito a mettere al riparo la Polizia e a dimostrare che non siamo gli utili idioti della politica.
Ma almeno Alfano l’ha chiamata dopo?
Mi ha fatto più di una telefonata. Un giorno sono tornato al ministero per alcune pratiche, lui l’ha saputo e ha voluto incontrarmi perché era dispiaciuto. Si è reso conto che le istituzioni vanno coltivate e bisogna ridare fiducia. Ma Alfano lì per lì non mi pare che abbia preso male le sue dimissioni. Non disse una parola in sua difesa. Io sono più anziano e l’esperienza conta in queste cose.
Da il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2013