Le leggende sui vampiri raccontano che chiunque venga morso da un vampiro diventi vampiro egli stesso. Qualcuno sostiene addirittura che il vampiro sia molto oculato nella scelta delle sue vittime, come se cogliesse in loro una sorta di predestinazione, un’idoneità alla trasformazione che cambierà la loro natura di uomini per consacrarli ad una tetra eternità. Chissà se Nunzia De Girolamo ha riconosciuto nei feromoni di Francesco Boccia l’essenza del prescelto o se ha semplicemente tirato a caso nelle file democratiche, dove del resto la chimica amebica regna sovrana.
La coppia De Girolamo-Boccia ha avuto fin dagli albori l’onore d’incarnare l’esempio vivente delle larghe intese, ed oggi, grazie all’affaire campano della signora Nunzia, ha l’opportunità d’illustrarcene ulteriori declinazioni. “C’è un’etica della responsabilità che riguarda tutti noi”, ha dichiarato il presidente della Commissione Bilancio alla Camera: che cosa volesse dire l’onorevole Boccia non è chiaro a nessuno, forse perché di fatto non voleva dire nulla o almeno nulla che potesse somigliare ad una posizione. Perché questo è il segreto feromonico dei futuri predestinati all’eternità politica: l’assenza totale d’identità.
Lettiano di ferro, renziano di fresco, degirolamiano (corrente formata da un unico partecipante) di sentimento, Francesco Boccia appartiene alla materia politica inerte, molto spesso catalogata dai geologi sotto il nome di Partito democratico. Talvolta ingombrante persino a se stesso, come nel caso dell’improbabile norma sulla webtax con la quale ha voluto sfidare per una decina di minuti le luci della ribalta, per poi tornare sul fondo un po’ acciaccato dalle critiche pressoché unanimi alla sua anacronistica, abborracciata creatura giuridica, Boccia diventa il testimonial della passività omertosa che ha contraddistinto la sinistra per quasi tutta la Seconda Repubblica.
“Facciamo decidere alla magistratura“, intona il signor De Girolamo (chi porta i pantaloni in casa è piuttosto chiaro ormai) in duetto con tutta l’informazione che pedissequa ci ricorda che il ministro “non è indagato”. Come del resto non lo erano Cancellieri o Alfano. Bizzarro che sia proprio lo stesso uomo, qualche parola prima, ad appellarsi all’etica della responsabilità (a meno che questa non debba valere solo per Pisapia, colui che ha registrato le parole delle De Girolamo), secondo la quale, a rigor di logica, la ministra avrebbe dovuto, se non altro per buon gusto, rinunciare alle sue funzioni pubbliche. Ma Boccia, l’uomo abitato, continua ad aggirarsi nel foyer della politica, ripetendo a pappagallo i ritornelli renziani della trasparenza e del rinnovamento, evitando, per carità, di lasciarsene contaminare.
In sintesi: “Fai quel Boccia dice non fare quel che Boccia fa”.