Da almeno venti anni il mondo del lavoro è profondamente cambiato, in gran parte dei paesi. Per usare le parole di David Audretsch (La società imprenditoriale, 2007) siamo passati dall’’economia controllata’ all’ ‘economia imprenditoriale’. L’economia controllata è quella che ha prevalso in Occidente e in Giappone nei “trenta gloriosi”, 1945-1975. Era un sistema abbastanza stabile, fondato sulla centralità del capitale fisico: per crescere si doveva investire in capitale fisico (macchinari e impianti innanzitutto), la domanda era abbastanza prevedibile e i governi investivano, per favorire lo sviluppo, costruendo infrastrutture e creando una rete di protezione sociale capace di ridurre i rischi per gli individui. Le giovani coppie seguivano un ciclo molto semplice: matrimonio, acquisto casa, figli, acquisto di una serie di beni durevoli (elettrodomestici, automobili, mobili, etc.) la cui produzione dava lavoro a milioni di persone. L’attività delle imprese era orientata all’aumento della produttività negli stabilimenti e al miglioramento costante dei prodotti, che però restavano sostanzialmente gli stessi. Il grosso della forza lavoro era poco istruita e lavorava in impianti disegnati per dare lavoro a persone prive si istruzione formale. Si trattava di un’economia nella quale le grandi imprese e le grandi burocrazie erano in grado di “controllare” lo sviluppo e l’occupazione.
Quel mondo non c’è più. Una serie di eventi storici hanno condotto a un nuovo sistema economico.
Il cambiamento tecnologico incentrato sulla microelettronica e sulle ICT ha consentito di produrre nuovi beni, e di cambiare il modo di produrre qualunque bene (rivoluzione tecnologica). I consumatori sono diventati più ricchi e quindi più sofisticati, chiedendo così beni sempre più differenziati e quindi non producibili in grandi impianti standardizzati. La rimozione delle barriere al commercio mondiale ha accresciuto inoltre di molto la concorrenza sui mercati e quindi la spinta al cambiamento. Processi di outsourcing hanno condotto alla frammentazione produttiva, alla fine delle grandi imprese. Il capitale fisico non è più la risorsa strategica come nel regime precedente.
Le imprese competono sempre più in termini di capacità innovativa, di scoperta di nuovi segmenti di mercati, di penetrazione di nuove regioni. Il capitale umano, la conoscenza, la capacità innovativa sono le risorse strategiche.
I mercati sono diventati molto volatili, difficili da prevedere. Alla quiete del trentennio 1945-1975 si è sostituito il cambiamento e l’incertezza continui.
In questo nuovo scenario, che ad alcuni non piace, diventa cruciale sapersi adattare, essere innovativi, saper affrontare il mondo in modo creativo e non ripetitivo. L’imprenditorialità è la risorsa forse più preziosa in questo nuovo scenario.
Vari studi mostrano che vi sono vari tipi di imprenditorialità. Il Global Entrepreneurship Monitor (GEM) da anni elabora dati e fa studi sull’evoluzione dell’imprenditorialità nei paesi.
GEM definisce come imprenditorialità “ogni tentativo di creare un nuovo business (una nuova impresa) o di espandere un business esistente da parte di un individuo, di un gruppo di individui o di un’impresa già affermata”. Secondo gli studi del GEM gli individui avviano una nuova impresa per due ragioni principali:
– Perché vogliono sfruttare un’opportunità di business da loro percepita (opportunity entrepreneurs)
– Perché sono costretti all’autoimpiego in quanto non ci sono opzioni di impiego come dipendenti o se ci sono, sono mal pagate (necessity entrepreneurs).
Quel che si osserva studiando i paesi è che c’è una relazione tra early stage entrepreneurship (ad esempio, la quota di popolazione che è impegnata a far partire una nuova impresa sul totale della popolazione attiva) e il PIL pro capite. Questa relazione è di solito a forma di U. Per i paesi meno sviluppati, a reddito pro capite più basso, il livello di nuova imprenditorialità è alto ma diminuisce mano mano che il paese si sviluppa e si arricchisce; per i paesi più ricchi la necessity entrepreneurship diminuisce con la crescita economica ma aumenta invece la opportunity entrepreneurship.
Nei paesi in via di sviluppo infatti si registra una grande quota di lavoratori autonomi, che in realtà sono lavoratori in grigio, sotto occupati nell’economia informale e sotto pagati. Nei paesi avanzati invece cresce di solito la quota di veri e propri imprenditori. Non si tratta di una relazione di causazione tra imprenditorialità e crescita economica ma solo di una regolarità statistica.
Il punto sembra essere che lo stadio di sviluppo economico influisce sul tasso di imprenditorialità.
Quello cui assistiamo in Italia è un fenomeno misto. Ogni mese circa 45.000 nuove partite iva vengono aperte. Queste nuove partite iva sono in parte segno di necessity entreprenurship: persone che non trovano lavoro, o che lo hanno perso, che sono costrette a mettersi in proprio, e spesso sono finte partite Iva, alcune di queste persone in realtà sono dipendenti mascherati di altre imprese. Ma una parte invece è costituita da opportunity entrepreneurship.
Per parlare di occupazione oggi in Italia bisogna tenere conto di questi processi in atto. Da anni diminuiscono i posti di lavoro nel manifatturiero, in tutti in paesi non solo in Italia. Da anni sono in dimagrimento le grandi imprese e le grandi burocrazie. Da anni l’industria non crea posti di lavoro per lavoratori senza qualifiche e senza istruzione.
Si certo a Ballarò molti si esercitano nell’invocare la mitica “politica industriale”. Ma in concreto il punto è che non è pensabile di creare posti di lavoro nella manifattura con nuove IRI o EFIM o AGIP. Quell’epoca è finita.
Le imprese nei settori high tech, le imprese più efficienti e tecnologicamente avanzate creano pochi posti di lavoro. Apple, negli Stati Uniti, dà lavoro a poche migliaia di ricercatori e tecnici altamente qualificati e realizza invece la produzione quasi interamente in Cina e in altri paesi emergenti.
Sono i servizi invece il settore nel quale si creano e si possono creare molti posti di lavoro. Un supermercato Esselunga a Milano dà lavoro a 200 persone. Allo stesso modo si possono creare posti di lavoro nei servizi alla persona, nei servizi professionali. Vi è terziario povero (commercio, barbieri, massaggi, estetisti, servizi di pulizia etc) che può dare lavoro a molte persone.
In generale si tratta di capire come favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese. Si tratta di capire se e come si può accrescere nelle persone la capacità di scoprire e sfruttare le nuove opportunità di business.
Questo significa che non ci sono ricette facili per creare lavoro. A meno che non si abbia in mente di far assumere migliaia di persone nel pubblico impiego, nelle aziende municipalizzate, nell’esercito e nella polizia… ma questo sarebbe insostenibile per le nostre finanze pubbliche.
Sandro Trento
Docente di Economia, Università di Trento
Economia & Lobby - 14 Gennaio 2014
L’imprenditorialità che può battere la crisi
Da almeno venti anni il mondo del lavoro è profondamente cambiato, in gran parte dei paesi. Per usare le parole di David Audretsch (La società imprenditoriale, 2007) siamo passati dall’’economia controllata’ all’ ‘economia imprenditoriale’. L’economia controllata è quella che ha prevalso in Occidente e in Giappone nei “trenta gloriosi”, 1945-1975. Era un sistema abbastanza stabile, fondato sulla centralità del capitale fisico: per crescere si doveva investire in capitale fisico (macchinari e impianti innanzitutto), la domanda era abbastanza prevedibile e i governi investivano, per favorire lo sviluppo, costruendo infrastrutture e creando una rete di protezione sociale capace di ridurre i rischi per gli individui. Le giovani coppie seguivano un ciclo molto semplice: matrimonio, acquisto casa, figli, acquisto di una serie di beni durevoli (elettrodomestici, automobili, mobili, etc.) la cui produzione dava lavoro a milioni di persone. L’attività delle imprese era orientata all’aumento della produttività negli stabilimenti e al miglioramento costante dei prodotti, che però restavano sostanzialmente gli stessi. Il grosso della forza lavoro era poco istruita e lavorava in impianti disegnati per dare lavoro a persone prive si istruzione formale. Si trattava di un’economia nella quale le grandi imprese e le grandi burocrazie erano in grado di “controllare” lo sviluppo e l’occupazione.
Quel mondo non c’è più. Una serie di eventi storici hanno condotto a un nuovo sistema economico.
Il cambiamento tecnologico incentrato sulla microelettronica e sulle ICT ha consentito di produrre nuovi beni, e di cambiare il modo di produrre qualunque bene (rivoluzione tecnologica). I consumatori sono diventati più ricchi e quindi più sofisticati, chiedendo così beni sempre più differenziati e quindi non producibili in grandi impianti standardizzati. La rimozione delle barriere al commercio mondiale ha accresciuto inoltre di molto la concorrenza sui mercati e quindi la spinta al cambiamento. Processi di outsourcing hanno condotto alla frammentazione produttiva, alla fine delle grandi imprese. Il capitale fisico non è più la risorsa strategica come nel regime precedente.
Le imprese competono sempre più in termini di capacità innovativa, di scoperta di nuovi segmenti di mercati, di penetrazione di nuove regioni. Il capitale umano, la conoscenza, la capacità innovativa sono le risorse strategiche.
I mercati sono diventati molto volatili, difficili da prevedere. Alla quiete del trentennio 1945-1975 si è sostituito il cambiamento e l’incertezza continui.
In questo nuovo scenario, che ad alcuni non piace, diventa cruciale sapersi adattare, essere innovativi, saper affrontare il mondo in modo creativo e non ripetitivo. L’imprenditorialità è la risorsa forse più preziosa in questo nuovo scenario.
Vari studi mostrano che vi sono vari tipi di imprenditorialità. Il Global Entrepreneurship Monitor (GEM) da anni elabora dati e fa studi sull’evoluzione dell’imprenditorialità nei paesi.
GEM definisce come imprenditorialità “ogni tentativo di creare un nuovo business (una nuova impresa) o di espandere un business esistente da parte di un individuo, di un gruppo di individui o di un’impresa già affermata”. Secondo gli studi del GEM gli individui avviano una nuova impresa per due ragioni principali:
– Perché vogliono sfruttare un’opportunità di business da loro percepita (opportunity entrepreneurs)
– Perché sono costretti all’autoimpiego in quanto non ci sono opzioni di impiego come dipendenti o se ci sono, sono mal pagate (necessity entrepreneurs).
Quel che si osserva studiando i paesi è che c’è una relazione tra early stage entrepreneurship (ad esempio, la quota di popolazione che è impegnata a far partire una nuova impresa sul totale della popolazione attiva) e il PIL pro capite. Questa relazione è di solito a forma di U. Per i paesi meno sviluppati, a reddito pro capite più basso, il livello di nuova imprenditorialità è alto ma diminuisce mano mano che il paese si sviluppa e si arricchisce; per i paesi più ricchi la necessity entrepreneurship diminuisce con la crescita economica ma aumenta invece la opportunity entrepreneurship.
Nei paesi in via di sviluppo infatti si registra una grande quota di lavoratori autonomi, che in realtà sono lavoratori in grigio, sotto occupati nell’economia informale e sotto pagati. Nei paesi avanzati invece cresce di solito la quota di veri e propri imprenditori. Non si tratta di una relazione di causazione tra imprenditorialità e crescita economica ma solo di una regolarità statistica.
Il punto sembra essere che lo stadio di sviluppo economico influisce sul tasso di imprenditorialità.
Quello cui assistiamo in Italia è un fenomeno misto. Ogni mese circa 45.000 nuove partite iva vengono aperte. Queste nuove partite iva sono in parte segno di necessity entreprenurship: persone che non trovano lavoro, o che lo hanno perso, che sono costrette a mettersi in proprio, e spesso sono finte partite Iva, alcune di queste persone in realtà sono dipendenti mascherati di altre imprese. Ma una parte invece è costituita da opportunity entrepreneurship.
Per parlare di occupazione oggi in Italia bisogna tenere conto di questi processi in atto. Da anni diminuiscono i posti di lavoro nel manifatturiero, in tutti in paesi non solo in Italia. Da anni sono in dimagrimento le grandi imprese e le grandi burocrazie. Da anni l’industria non crea posti di lavoro per lavoratori senza qualifiche e senza istruzione.
Si certo a Ballarò molti si esercitano nell’invocare la mitica “politica industriale”. Ma in concreto il punto è che non è pensabile di creare posti di lavoro nella manifattura con nuove IRI o EFIM o AGIP. Quell’epoca è finita.
Le imprese nei settori high tech, le imprese più efficienti e tecnologicamente avanzate creano pochi posti di lavoro. Apple, negli Stati Uniti, dà lavoro a poche migliaia di ricercatori e tecnici altamente qualificati e realizza invece la produzione quasi interamente in Cina e in altri paesi emergenti.
Sono i servizi invece il settore nel quale si creano e si possono creare molti posti di lavoro. Un supermercato Esselunga a Milano dà lavoro a 200 persone. Allo stesso modo si possono creare posti di lavoro nei servizi alla persona, nei servizi professionali. Vi è terziario povero (commercio, barbieri, massaggi, estetisti, servizi di pulizia etc) che può dare lavoro a molte persone.
In generale si tratta di capire come favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese. Si tratta di capire se e come si può accrescere nelle persone la capacità di scoprire e sfruttare le nuove opportunità di business.
Questo significa che non ci sono ricette facili per creare lavoro. A meno che non si abbia in mente di far assumere migliaia di persone nel pubblico impiego, nelle aziende municipalizzate, nell’esercito e nella polizia… ma questo sarebbe insostenibile per le nostre finanze pubbliche.
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Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.