Il quotidiano economico certifica l'insuccesso dell'organismo internazionale e scrive che con le sue scelte ha contribuito "al crescente populismo e soprattutto al sentimento di xenofobia"
Dal fallimento delle élite industriali e politiche a quello del memorandum per Grecia e Paesi Piigs. Il Financial Times, in un fondo che ripercorre la storia del Vecchio Continente a un secolo esatto dalla prima guerra mondiale, certifica l’insuccesso della troika. Definita “un trio di burocrati non eletti che amministra la zona euro portando ad un aumento dell’estrema destra”. E sottolinea i tre “buchi neri” del mondo moderno. In primis la mancata comprensione delle conseguenze della liberalizzazione finanziaria. Rassicurati da fantasie fasulle, i mercati finanziari non solo hanno autorizzato ma anche incoraggiato la grande scommessa sul prolungamento del debito. Le élite che guida la politica non è riuscita ad apprezzare i rischi di un fallimento sistemico, osserva il quotidiano economico. Per cui le economie sono crollate, la disoccupazione è aumentata, il debito è esploso. In secondo luogo l’ineguale distribuzione dei guadagni derivanti dalla crescita economica che favorisce la plutocrazia: ovvero l’emersione di un’economia globalizzata e di una nuova élite economica i cui membri sono diventati sempre più distanti dai Paesi che li hanno prodotti. Durante questo processo, il collante che lega ogni democrazia, cioè la nozione di cittadinanza, scrive il Ft, si è indebolito. Con la conseguenza che l’ineguale distribuzione dei guadagni derivanti dalla crescita economica ha migliorato solo le tasche dei più ricchi, con ormai prossimo l’inizio di un deterioramento a lungo termine. Infine il terzo neo delle élite: il funzionamento dell’euro e i problemi connessi creati.
Le difficoltà delle economie colpite dalla crisi è evidente: grande recessione, disoccupazione altissima, migrazioni di massa e accumulo di debito pesante. Tuttavia è il disordine costituzionale della zona euro a essere poco conosciuto. Ed ecco l’attacco alla troika: all’interno della zona euro, scrive il quotidiano finanziario, la potenza è concentrata nelle mani dei governi dei Paesi creditori, in particolare la Germania, con un trio di burocrati non eletti, la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. I popoli dei Paesi colpiti non hanno alcuna influenza su di loro. I politici che sono responsabili non sono perseguibili e “questo divorzio tra responsabilità di qualsiasi nozione e governance democratica” produce una crisi non solo economica ma “costituzionale”.
E conclude che questi tre fallimenti sono sufficienti a sollevare dubbi circa le élite, che portano con queste scelte al crescente populismo e soprattutto al sentimento di xenofobia. Intanto in Grecia sulla lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori ellenici che hanno portato in Svizzera circa 50 miliardi di euro, si registra una seduta del capo della criminalità finanziaria, Stelios Stassinopoulos, dinanzi alla commissione Istituzioni e trasparenza della Camera. In cui ha riferito che su 1700 file ne sono stati analizzati solo 266. L’ammontare totale di evasione è di 54 miliardi di euro, c’è perfino un cieco totale che ha portato via 10 milioni di euro. Quattro sono parenti dell’ex ministro delle finanze Georgios Papaconstantinou (che nei giorni scorsi ha detto “non sarò il solo a pagare”) con transazioni per totali sei milioni e trecento milioni.), oltre ad altri 3,7 milioni relativi a due nuovi volti. Ma Stassinopoulos, citando il segreto bancario, non ha dato prova di questi nuovi nomi. In attesa di giudizio anche Kostas Vaxevanis, il giornalista che per primo pubblicò la lista in Grecia nell’ottobre del 2012 e che per questo fu arrestato e processato per direttissima.
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