A rischio persecuzione perché ateo. Con questa motivazione il ministero dell’Interno britannico ha garantito asilo a un 23enne afgano. L’attenzione che il caso ha suscitato nella stampa d’oltre Manica è dovuta al fatto di essere il primo del suo genere, almeno in Gran Bretagna. I funzionari, tuttavia, cercano di sviare le domande dirette al riguardo, limitandosi a dire ai giornalisti locali di non voler commentare casi individuali e che il Paese è fiero della propria tradizione nel garantire asilo a chi ne ha bisogno. Il giovane afgano, del quale non si conosce il nome per evitare ripercussioni all’interno della propria comunità, era arrivato a 16 anni, in fuga dalla guerra. All’epoca era ancora musulmano e gli fu permesso di restare nel Paese fino al 2003.
Negli anni ha rivisto le sue convinzioni, diventando ateo. Del caso si è interessata la Kent Law Clinic, studio che fornisce servizio legale grazie a praticanti e studenti della scuola di giurisprudenza della University of Kent, e ad alcuni avvocati locali. La domanda d’asilo, che si poggia sulla Convenzione di Ginevra per lo status di rifugiato del 1951 e sul Protocollo del 1967, fa leva sul rischio che il giovane possa essere accusato di apostasia, ossia di aver rinnegato la propria religione, nel caso si dichiari apertamente ateo nel suo Paese, e perciò sia condannato a morte. La vicenda riporta alla memoria il caso di Abdul Rahman, cittadino afgano convertitosi dall’islam al cristianesimo nel 2006, cui proprio l’Italia concesse rifugio per risparmiargli il patibolo.
L’Afghanistan, è stato sottolineato nella richiesta, è un Paese in cui la religione ha ripercussioni sulla vita di tutti i giorni. Vivere da ateo sarebbe stato complicato. Un principio che si basa sulla decisione del 2010 della Corte suprema, che garantì asilo a due gay e impedì che fossero espulsi in Camerun e Iran, dove sarebbero potuti essere vittime di discriminazione. Nel caso del ragazzo afgano va anche considerata l’interpretazione della Convenzione del 1951. L’articolo 4 parla esplicitamente di tutela della libertà di religione e di culto. Un concetto che si applica anche all’ateismo, sebbene questo non sia specificato. Ad esempio, ricorda il Guardian, se questo principio vale in Australia, altrettanto non è accaduto in alcuni tribunali statunitensi.
“Abbiamo dimostrato che gli atei hanno lo stesso diritto dei credenti a essere protetti da persecuzioni”, ha spiegato alla stampa britannica Claire Splawn, la studentessa di legge che ha preparato il caso, in collaborazione con l’avvocato Sheona York, secondo cui la decisione rappresenta “l’importante riconoscimento” dell’ateismo come “posizione filosofica”. Per Andrew Copson, direttore esecutivo della British Humanist Association, citato dalla Bbc, le posizioni di umanisti, atei e non credenti sono importanti quanto la libertà di chi crede, ma “sono spesso dimenticate dai governi occidentali”. Pertanto Copson ha salutato con favore la decisione che, aggiunge, va nella direzione di quanto iniziato a fare dal Foreign Office (il ministero degli Esteri), negli ultimi due anni, con sempre più frequenti prese di posizione a favore di chi non ha una religione.
di Andrea Pira