Cultura

Storia di Cola di Rienzo, di Anonimo Romano (XIV secolo)

Brano tratto dallo spettacolo ‘In Fuga dal Senato’ in scena a Roma (Teatro Sistina) il 20 gennaio, a Fermo (Teatro dell’Aquila) il 25 gennaio, il 3 febbraio a Milano (Piccolo Teatro Strehler), il 16 febbraio a Bra, Cn (Palasport).

Lo spettacolo è tratto dal libro di Franca Rame In Fuga dal Senato (Chiarelettere, 2013).

A questo punto, come omaggio a Roma, è il caso che io vi presenti un personaggio del tutto singolare che, come diceva Trilussa, poteva nascere solo qui, in questa città. Eccovi una pittura di commento che ad un certo punto della storia ci servirà.

Vi racconterò di Cola di Rienzo. Sì proprio lui, il primo tribuno della Repubblica romana (da lui creata nel XIV secolo) e considerato dai suoi contemporanei addirittura eroe della storia dei romani.

Nello stesso momento però eccolo, verso la fine della sua avventura, trattato dalla maggior parte degli storici come un burattino grottesco e degno di quel brutale linciaggio con il quale è stata cancellata la sua vita e soprattutto la memoria di sé.

Ebbene, io penso che noi tutti dobbiamo porgere oggi a questo personaggio delle scuse. Per che ragione?

Come dichiara Zefirino Re, storico di notevole prestigio, gran parte delle edizioni prodotte sulla vita di Cola di Rienzo sono spregevoli per i molti gravissimi errori e per le grossolane falsità di cronaca.

A questo proposito ricordiamo che Mao Tse-tung, in un suo commento sul modo di presentare i fatti salienti della nostra evoluzione, dichiarava: “E’ vero, è il popolo che fa la storia, ma poi sono i padroni che ce la raccontano!”.

E noi della storia di Roma nel medioevo conosciamo solo la voce di chi da sempre gestisce la cultura e il potere.

A Roma in quegli anni imperavano la miseria e la disperazione. I poveri straboccavano di numero tanto che un cronista straniero commentava: “L’urbe, priva di un governo civile, si è trasformata in una massa di principi stracolmi di arroganza e ricchezza che governano un popolo di accattoni spremuti di ogni dignità e perfino dell’ultima goccia di sangue”.

Ancora giovanissimo Cola di Rienzo, mal sopportando quella condizione spregevole in cui era costretta l’intera popolazione, da Roma decise di recarsi ad Avignone dove il Pontefice con tutta la sua corte era fuggito da quel coacervo infernale di scontri, brutalità, ingiustizie…una vera apocalisse!

Cola era forse munito di un salvacondotto speciale per quel dialogo col Papa? Nossignori! Cola di Rienzo giocava tutto sulla sua risaputa carica di simpatia!

Si annunciò al cerimoniere dicendo: “Vengo da Roma e porto con me nuove straordinarie da comunicare al Santo Padre. Alcune pessime, altre ottime.”

Così fu inoltrato nella sala delle udienze. Accennò ad un inchino, baciò la mano al Papa e cominciò subito: “Santo Padre, avete agito da uomo davvero saggio, nel piantare in asso la città santa e il Vaticano al completo. Nemmeno il Padreterno in persona avrebbe potuto tentare di governarla: ogni giorno la gente si scanna, ad ogni angolo si fa rapina…la violenza è la costante dove ognuno è contro tutti. I nobili posseggono ogni diritto, impongono tasse e gabbelle, stuprano vergini e se ne fanno vanto, dirigono i tribunali, le galere e la forca; a loro manca solo l’imprimatur di confessare e recitare messa!”

“Va bene, va bene! – esclamò il Papa quasi infastidito – queste sono le notizie pessime che già conoscevo…e la buona nuova che mi promettevate, quale sarebbe?”

“Io Santo Padre, senza sparger boria, sono io la buona nuova! E non crediate che stia millantando da fellone. Ho un progetto e se voi lo accoglierete con un minimo di fiducia riusciremo a capovolgere l’inferno che stiamo vivendo laggiù!”.

“Ma chi rappresentate dinnanzi a me? Chi vi manda?”

“Il Consiglio Generale delle Arti dell’Urbe e l’intera assemblea dei Capi di Rione”.

“Quindi rappresentate solo una parte della gente romana, il popolo minuto.”

“Sì, ma voglio ricordarvi che Roma oggi conta circa 70.000 abitanti e il popolo minuto è in grande maggioranza, cioè a dire 60.000 disperati contro un solo pugno di baroni.”

“Va bene, va bene. Ma che titoli potete vantare?”

“Sono letterato, conosco a memoria gli scritti di Tito Livio, Seneca, Cicerone e Ovidio e son notaro”

“Ah beh, notaro… è già un altro discorso! Allora, ser notaro, a ‘sto punto vi ascolto nei particolari. Siate conciso e se vi riesce evitate ogni ampollosità di linguaggio!”

Clemente VI trascinato dall’abilità oratoria, dall’iperbole e dai paradossi con i quali il giovane rappresentante del popolo riusciva ad arricchire ogni sua proposta, decise di prendere con molta serietà il programma del notaro, anzi gli conferì la carica di responsabile unico della Camera Apostolica, in poche parole da questo momento, tornando all’Urbe, Cola di Rienzo rappresentava in prima persona il Santo Pontefice di Roma.

Come arrivò alla Città Santa, il responsabile unico della Camera decise di dare immediatamente informazione ai suoi elettori riuniti in Campidoglio, ma richiese che non solo i maggiorenti fossero presenti, bensì tutti i cittadini disposti ad ascoltarlo.

Il giorno appresso, lo spazio che si apriva davanti al Monte Capitolino, era gremito di una gran folla di gente semplice che, carica di stupore, osservava un enorme dipinto eseguito sulla grande parete frontale che raccontava fatti e situazioni che la città stava vivendo in quel momento.

L’idea era stata di Cola Di Rienzo che l’aveva fatto preparare da valenti pittori fin dal giorno della sua partenza per Avignone. Eccone la riproduzione eseguita dalla nostra bottega. (dall’alto scende il dipinto in questione che viene sistemato al centro del palco).

Egli era ben conscio che per informare a fondo una popolazione in gran parte analfabeta, bisognava ricorrere ad altri mezzi che non fossero la sola scrittura. (Naturalmente l’opera originale era quattro volte più grande di quella che vi mostriamo).

Il tribuno inizia ad illustrare la pittura.

“Osservate bene, qui è rappresentata una tempesta furente che colpisce la città piena di monumenti. Uomini e donne travolti dalle onde dell’alluvione. Il grande fiume straripato, travolge simboli, personaggi, animali feroci e della mitologia.

Questa che vedete davanti a voi, l’avrete già capito, è Roma che travolta dalla tempesta rischia di essere distrutta; come già distrutte intorno potete leggere i simboli di città antiche ormai completamente scomparse: qui si fa allusione a Babilonia bruciata da un dio furente, più avanti una donna annegata rappresenta Cartagine, l’altro simbolo è Troia e poi Gerusalemme. Noi stiamo rischiando a nostra volta di essere cancellati dalla storia del mondo! Anche qui, avrete già capito, con questi animali – leoni tigri iene – si allude alle grandi casate dei nostri nobili. Baroni principi duchi, arcivescovi e cardinali…quelle belve feroci ci impongono di vivere in soggezione, piegati in ginocchio, vuoti di conoscenza, privi di che campare!

E giù, nella parte bassa del dipinto, vedete una famiglia composta da una madre, un padre, figlie femmine e maschi, contornata da bimbi e vecchi disperati, in balìa di ogni calamità. Questa famiglia prona su se stessa è l’Italia.

In altre piazze e spazi estesi di questa nostra città sono esposti proprio per voi decine di grandi dipinti come questo. Andate a far loro visita! Là, ad accogliervi, ci saranno fabulatori stupendi che vi illustreranno il significato di quelle scene. Quei cantastorie con musiche e ballate vi spiegheranno, traducendovi le allegorie dei dipinti, perché tutti noi ci troviamo in questa disperata situazione. Chi sono i ladri che ci tolgono il diritto di campare? Chi ci carica di tasse e gabbelle e ci manda in galera se non le paghiamo? Lo chiedo a voi, ditemelo!”.

E con urlo in coro gli rispondono: “I signori, possessores, son loro che ci spogliano di tutto!”

“Certo perché ne hanno ricevuto il diritto! Chi ha dato loro quel potere? Chi ha donato loro le terre, i fiumi, le montagne e le città?! Chiedetelo a loro, e vi risponderanno: ‘Dio in persona, che ce ne ha fatto dono! E ci ha detto: ‘Fatene buon frutto, evitate che i villani e i rusteghi, pretendano di servirsene! E quando quegli scellerati si rivolteranno con la pretesa di poter godere a loro volta di quei frutti – gridando ‘la terra è di chi la lavora’ – voi fate loro un gran pernacchio PAAAAAAAA! Imponendo: calma!, rozzi zappaterra e morti di fame, abbiamo un contratto che ci fa padroni di ogni cosa, firmato da dio in persona. Eccovelo! Sapete leggere? No? E allora che cazzi vulete da noi, coglioni!”

E poi Cola riprende: “Sì, bisogna ammettere che più vi guardo e più devo constatare che siete proprio una pletora di miserabili, non sapete né leggere né scrivere né far di conto. Ma cosa pretendete, fanatici? In questa condizione, state tranquilli, vi terranno per sempre. Guai permettere che un pezzente si faccia una cultura: diventa arrogante e pretenzioso! Una plebaglia che si monta come voi bisogna trattarla come i pidocchi, schiacciarla subito!”

La gente urla e applaude entusiasta, felice di capire finalmente tutto di quelle parole.

Cola di Rienzo, dopo un attimo riprende: “Ma attenti, calma e agite muovendo l’intelletto. Cosa succederà quando noi, coscienti della gran ruberia, chiederemo la nostra parte? Voi pensate che i principi verranno a più miti consigli? Diranno ‘per carità, parliamoci senz’altro! Forse abbiamo esagerato nello spogliarvi dei vostri diritti. Facciamo un contratto che vi renda giustizia!’?

NOOOOO! Toglietevelo dalla testa! Non vi regaleranno mai niente! Faranno promesse cert:. ‘domani’, ‘dopodomani’, ‘adesso vediamo’…ma poi, proprio nel momento in cui sarete convinti di avercela fatta, GNIAAAAAA! Vi stenderanno in ginocchio come prima, peggio di prima, coglioni! Sempre coglioni!”.

Una voce dice: “E allora che se fa?”

“Io non amo la violenza, ma son più che convinto che non ci sia altra soluzione coi baroni. Non si puole campare in una casa con ladri da strada in ogni loco. Di quelli debbiamo liberarci all’immediata. E la unica soluzione è quella di cacciarli fora delle nostre mura”

E il coro di nuovo: “Sì, deamoce il bando! Prima però riprendiamoci ogni bene frutto della loro continua rapina!”.

Ma non ci fu verso.

“I baroni ci sono da sempre – gridavano altri – ci danno lavoro”.

“Già, lavorar per i ladri!”.

Ma il fatto davvero incredibile succede. Come aveva previsto il tribuno, ecco che i nobili e i cardinali mettono in campo la loro forza: fanti e cavalieri armati di tutto punto, perfino qualche cannone! I signori si aspettano che davanti a quella sparata di potenza, tutti gli straccioni se la diano a gambe; e invece no: da ogni strada, da ogni vicolo, spuntano uomini armati di forche, scuri, accette perfino falci e lance e vengono incontro a cavalieri con corazze e mazze. Incredibile, si assiste a scene in cui i cavalli vengono atterrati e i cavalieri abbattuti, con fanti che fuggono. Gli straccioni hanno vinto!”

Cola di Rienzo è ormai l’eroe dominante; ma di lì a poco cominceranno le dispute all’interno della congrega, il potere donato al tribuno dà fastidio a troppi, anche fra i suoi seguaci. Pur di fermarlo, c’è sempre qualcuno che tradisce e poi vien scoperto e quindi messo a morte. E’ ovvio che i baroni tutti sentono che lo scontro per loro si fa negativo e mettono in campo tutta la loro sapienza del governare con ogni mezzo, ad ogni costo. Pronti a comprare ognuno pur di salvare i propri interessi. Certo, premuto da ogni lato Cola commette qualche errore, approfitta in eccesso della passione che è riuscito a muovere nella gente. Ma ecco che i principi ce la fanno a portare a compimento il colpo grosso: riescono cioè a far penetrare fra le file della ribellione gente propria che proviene dalla malavita e che in più punti riesce a scardinare la compattezza dei rivoltosi.

Accusando il tribuno di malaffare, scatenano gente del popolo che invade la piazza davanti al Campidoglio. Il tribuno, si affaccia alla finestra grande e fa cenno alla folla che urla, chiedendo di parlare. Ma un grido si leva dal basso: “NOOOO, non lasciatelo dir parola, che se a quello permettiamo di raccontarci le sue ragioni, riuscirà di certo a far cambiare idea ad ognuno!”. L’aggressione continua e di lì a poco Cola di Rienzo si trova circondato da armati decisi ad ucciderlo. Gli riesce solo di accennare ad una frase: “Voglio dirvi solo poche parole, vi sembro forse un nemico io?! No, io sono cittadino di questo popolo come voi, amo voi, e ponetevi ben in capo che se uccidete me, uccidete anche Roma, e quindi la speranza di trovare libertà. E la mia morte trascinerà anche voi tutti nella fine della Repubblica. Ma è inutile che io sprechi parole con voi. Io vi conosco, voi non siete gente della plebe ma scannagole pagati dalla baronìa per venirmi ad ammazzare”.

All’istante Cola di Rienzo viene sommerso da braccia armate e stramazza al suolo senza vita. Alcune donne e qualche vecchio gli si fanno intorno piangendo.

Come per un miracolo l’accoppato si risveglia per un fiato e sputando sangue dice: “Abbiamo sbagliato tutto! Si doveva ogni barone cacciarlo fora delle mura! Ma gli abbiamo dato il tempo di venirmi a scannare. Anch’io sono il solito coglione! Amen.”

E strabacca a terra morto.