Ci eravamo lasciati a novembre in attesa di nuovi di risvolti sul “caso Marò“, la delicata vicenda che vede coinvolti i due fucilieri di Marina Militare che il 15 febbraio 2012 avrebbero ucciso dalla petroliera Enrica Lexie, su cui erano in servizio antipirateria, due pescatori indiani. Le vittime della sparatoria si trovavano a bordo di un peschereccio che non esponeva alcuna bandiera e che gli italiani avrebbero scambiato per una nave pirata (per la sintesi degli avvenimenti vi invitiamo a visionare la nostra infografica).
Gli scenari di politica estera apertisi sono apparsi sin dall’inizio singolari, ma oggi qualcosa preoccupa ancor più gli italiani. I Marò – questa la sintesi che viene fuori dai bisbigli, dai non detti, dalle allusioni della stampa indiana – rischierebbero ancora la pena capitale. E ciò al netto delle garanzie fornite da New Delhi all’Italia.
Nel post del 21 novembre 2013 avevamo sviscerato le questioni di diritto, riportato gli esiti delle perizie sino ad allora prodotte, e analizzato i primi passi della diplomazia italiana, una diplomazia che è apparsa subito dall’andatura incerta e i cui passaggi non sempre hanno goduto di linearità e trasparenza.
Si pensi all’opportunità – cui appunto facemmo riferimento nel post – della scelta del governo italiano di rimborsare le famiglie dei pescatori affinché si ritirassero dal processo, scelta che l’opinione pubblica indiana ha da sempre inteso come una implicita ammissione di colpa, e che ha favorito non pochi ricami sul caso da parte dei media indiani, i quali, su questa mossa infelice, hanno avuto modo di ricompattare l’orgoglio nazionale.
E sono ancora proprio recentissime indiscrezioni riportate della stampa indiana a fare aleggiare nuovamente il rischio di condanna a morte per Latorre e Girone.
La polizia indiana – secondo quanto riportato dal quotidiano Hindustan Times – attenderebbe il via libera da parte del ministero dell’Interno per presentare un rapporto sulla vicenda che fa forza sul Sua Act, ossia una legge per la repressione della pirateria all’interno della quale si prevede appunto per tale reato, la pena di morte. Il giornale millanta inoltre un accordo fra i ministri, ma a smentirlo è il Mail Today, secondo il quale il ministero avrebbe invece subordinato la propria autorizzazione all’ottenimento di un parere legale favorevole da parte di esperti.
Ulteriore disapprovazione al possibile utilizzo del Sua Act è poi fornita dalla stessa sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio 2013, nella quale erano stati indicati strumenti e leggi per dirimere la controversia, e tra i quali il Sua Act non figura. Il ricorso ad esso è stato definito categoricamente inaccettabile dall’inviato del governo italiano in India, Staffan De Mistura, il quale ha annunciato severe contromisure nel caso in cui l’India decida davvero di applicarlo. “È evidente che la campagna elettorale in India si sta avvicinando in modo prepotente. Il governo italiano mostrerà sui Fucilieri di Marina la necessaria inflessibilità”, polemizza dal canto suo il ministro della Difesa Mario Mauro.
Il governo italiano ha tenuto un vertice a Palazzo Chigi cui hanno preso parte il premier Enrico Letta, il ministro degli Esteri Emma Bonino e il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, in conclusione del quale è stata diffusa una nota che chiarifica la posizione dell’esecutivo in merito alla vicenda. In essa si chiede all’India di dare un “senso concreto alle assicurazioni fornite” sulla vicenda dei marò; diversamente “il governo italiano si riserva di assumere, in ogni sede, tutte le iniziative necessarie”.
Come vi avevamo già raccontato New Delhi aveva garantito dopo non pochi qui pro quo diplomatici che i due fucilieri non avrebbero rischiato la pena capitale e che qualsiasi condanna sarebbe comunque stata scontata in Italia.
Contraddittorie, in terra indiana, risultano però oggi a tal proposito le voci dei ministri. Shushil Kumar Shinde, ministro dell’Interno ha affermato che nessuna decisione su come si svolgerà il processo dei Fucilieri è stata ancora presa, ma lo sarà a breve. A contraddirlo, pochi giorni fa, il ministro degli Esteri, Salman Khurshid, che ha rammentato al collega dell’esistenza di una assicurazione fornita dall’India all’Italia circa la non applicazione della pena capitale.
Il governo italiano si è detto impegnato con la massima determinazione, asserendo che resterà a fianco dei marò e delle loro famiglie finché non avrà raggiunto l’obiettivo di riportarli in Italia, ma c’è chi vorrebbe sin da subito optare per una linea più dura.
Tra questi il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, il quale ha invitato a viva voce a “sospendere gli accordi commerciali tra l’Unione europea e l’India”. “Non penso – evidenzia Tajani su Twitter – che si possa portare avanti un negoziato su un accordo di libero scambio quando l’ipotesi di una condanna a morte viene presa in considerazione”.
Il riferimento è al negoziato in corso tra l’Unione Europea e l’India sul libero scambio delle merci. L’Europa non può trattare con chi viola i diritti umani e così ha annunciato che scriverà al presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso e all’Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza, Catherine Ashton, per chiedere l’intervento di Bruxelles in India, per riportare a casa Latorre e Girone.
A pensare che sia ormai pericoloso “un atteggiamento di basso profilo” fondato sulla “cortesia diplomatica” un’altra personalità importante, la cui carriera istituzionale è stato per altro determinata proprio dagli avvenimenti riguardanti i marò. “Non dovevano essere rispediti in India senza l’assicurazione che non rischiavano la pena di morte”, tuona in una intervista al quotidiano Il Tempo l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, dimessosi proprio subito dopo il rientro in India dei Marò. Secondo la verità di Terzi se il governo italiano li ha rimandati lì è anche per quelle che definisce “forti pressioni di gruppi economici”. E continua “Posso dire che in quei giorni drammatici ci sono state forti pressioni di gruppi economici sul governo, che in quel momento stava trattenendo Girone e Latorre in Italia, perché rivedesse le sue posizioni. Non mi spingo a dire che qualcuno abbia detto: ridateglieli. Ma ci fu un forte invito al governo perché rivedesse la sua posizione. Il silenzio di Nuova Delhi mi fa temere per la loro vita”.
L’opinione pubblica è in fibrillazione. Diversi partiti politici lanciano provocazioni talvolta davvero singolari, ma almeno la criticità delle circostanze sembra finalmente non essere più un segreto per nessuno.
di Mariangela Cirrincione