Diciotto miliardi dispersi in tangenti sui 55 spesi in totale per i Giochi più costosi della storia. E’ l’accusa, pesantissima, lanciata a più riprese da Gian Franco Kasper, presidente della Federazione Internazionale di Sci e membro del Comitato Olimpico Internazionale, contro i politici e gli imprenditori che in Russia hanno gestito l’organizzazione delle Olimpiadi invernali di Sochi: “Un terzo di tutti i fondi investiti si disperde” a causa della corruzione, ha detto Kasper mercoledì davanti alle telecamere di Rundschau, programma trasmesso dalla tv di Stato svizzera RTF. Per poi rincarare la dose venerdì ai microfoni dell’Associated Press: i contratti sono stati assegnati ad una “mafia” di uomini d’affari vicini al Cremlino e al presidente Putin.

La stima è di quelle che fanno tremare i polsi, soprattutto perché arriva dalla bocca di un membro del Cio. Nelle intenzioni della vigilia i Giochi invernali di Sochi, che prenderanno il via il 7 febbraio, dovevano costarne 12, ma la fattura è lievitata fino a toccare quota 55 miliardi. Di questi “un terzo sta scomparendo”, ha confermato Kasper, 69 anni, in un’intervista telefonica all’AP. A finire dispersi in un mare di bustarelle non sarebbero i fondi gestiti dal Comitato né quelli dei suoi partner commerciali ma risorse provenienti da finanziatori russi, ha detto ancora Kasper. Le accuse si fanno più pesanti quando si parla di appalti. “Sono stati assegnati a gente ben ammanicata, lo sapevamo – ha spiegato ancora il membro Cio davanti alle telecamere di SRF – una mafia di costruttori che hanno forti legami con il Cremlino e con Vladimir Putin”.

Interrogato venerdì dall’AP sulle fonti delle sue informazioni, Kasper nasconde la mano: “E’ una cosa che in Russia sanno tutti”, taglia corto il presidente della Federazione Svizzera di Sci, nel cui consiglio direttivo figura il miliardario russo Andrej Bokarev (che a settembre ha acquistato il 49% del gruppo industriale che produce il Kalashnikov), che è anche membro dell’executive board del Comitato Olimpico Russo. Ma il sasso è stato lanciato e i cerchi sullo specchio d’acqua si stanno allargando. “Le cifre fornite da Kasper sono senza dubbio corrette, in Russia la corruzione è parte integrante del sistema – ha spiegato al Christian Science Monitor Leonid Polyakov, professore di scienze politiche alla Scuola Superiore di Economia di Mosca – Quanto accaduto tra Putin e Akhmed Bilalov è esemplificativo“.

Bilalov era uno dei membri del Comitato Organizzatore dei Giochi e lo scorso febbraio venne licenziato in tronco da Putin dopo un confronto televisivo in cui il presidente russo aveva chiesto conto dell’aumento del 700% dei costi per la costruzione del trampolino dell’impianto di Sochi: da 40 a 270 milioni di euro. In seguito al licenziamento, Bilalov era fuggito in Germania e alla fine di aprile era stato ricoverato in gravissime condizioni in un ospedale di Baden Baden per un misterioso avvelenamento da mercurio e altre sostanze tossiche non identificate. Negli stessi giorni la procura di Mosca apriva nei suoi confronti un’inchiesta penale per appropriazioni indebite relative alla gestione dei fondi delle Olimpiadi Invernali.

Le accuse di Kasper fanno il paio con quelle lanciate in primavera da Boris Nemtsov, vicepremier ai tempi di Boris Eltsin e cofondatore del partito di opposizione Sojuz Pravych Sil, che parla di cifre ancora più alte. In un report scritto con l’attivista Leonid Martynyuk e pubblicato il 31 maggio 2013, i due oppositori di Putin scrivono che “la scala totale del appropriazione indebita è di circa 25-30 miliardi di dollari, ovvero il 50-60% del costo finale dichiarato delle Olimpiadi russe. Si tratta del minimo che ci si possa aspettare in un sistema così pervaso dalla corruzione come quello russo”. “Da tempo denunciavamo questi fatti al Comitato Olimpico – ha spiegato Nemtsov al Christian Science Monitor – finora nessuno aveva riconosciuto l’esistenza del problema, anche se i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Finora l’atteggiamento è stato quello di dire che tutto va bene e se c’è qualche corruzione è un problema del paese ospitante e non del Cio“.

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