In questo stagno della politica (p minuscola) italiana, un po’ puzzolente come tutti gli stagni, c’è una grande novità grandemente sottovalutata: si chiama Sardegna Possibile. Candidata a presidente della Regione Michela Murgia, ottima scrittrice, intellettuale (ce ne sono rimasti pochi davvero) colta e dotta di cose terrene e spirituali. Fossi sardo (e mi piacerebbe esserlo), per la prima volta nella vita potrei votare per e non contro. Perché Sardegna Possibile sembrerebbe proprio un progetto che guarda lontano curandosi con conoscenza approfondita e anche molto tecnica dell’oggi e del domani.
Curandosi della vita delle persone che vivono in Sardegna, curandosi della terra e dei suoi frutti, curandosi del suo mare e di suoi monti.
Con grande sapienza e molta cultura. E con il senso della prospettiva di un lavoro che deve partire oggi per poter consegnare ai figli dei sardi di oggi un domani migliore. Vola alto, Michela: “Puntiamo ad andare oltre il 25 per cento per prendere il premio di maggioranza e non dover negoziare con nessuno”. E nessuno pare disposto a negoziare, perché con la sua intransigenza (e finalmente!) Michela si sta tirando l’odio delle forze politiche ‘italiane’. “Perché su argomenti e metodi non sono disposta a negoziare – dice Kelledda – e neppure sui simboli: nella nostra coalizione non ce ne saranno”. Ma si sa, l’odio è generato dalla paura. Perché Michela ha sondaggi favorevolissimi e soprattutto il più alto indice di gradimento e di fiducia tra i candidati alla presidenza della regione. E sono la fiducia e il gradimento che possono conquistare quel 54% degli elettori che ancora non hanno deciso che fare.
Questa sbrodolata, che tecnicamente si chiama endorsement, in realtà è figlia dell’invidia ma anche della speranza. Invidia, perché invidio i sardi. Speranza perché vorrei fortissimamente che l’esperienza di Sardegna Possibile contaminasse anche ‘il continente’ con questo modo di fare Politica (con la p maiuscola in questo caso). Che non è nuovo, si badi bene, ma semplicemente l’unico possibile.
Si comincia a ragionare sulle elezioni anche da noi. Ci sono di certo le europee a breve, e chissà che non ci scappino anche delle politiche. Ci saranno i partiti ‘tradizionali’, quegli stessi partiti che hanno gestito la cosa pubblica, il territorio, la scuola, la sanità facendo gli interessi degli apparati, degli amici, dei funzionari da stipendiare e dei boss da ricompensare e non facendo gli interessi dei cittadini. In Italia esattamente come in Sardegna e in Europa: i fondi non sono stati usati per far crescere il lavoro e quindi il Paese, ma per ingrassare amici compagni e complici. Il rapporto tra politica e economia, tra stati e banche, tra Parlamento europeo e troika non è stato impostato sulla salvaguardia degli inerissi nostri ma su quelli delle banche e delle multinazionali.
Ma ci sarà anche una “Europa possibile”? L’occasione c’è ed è ghiotta. Non si chiama Michela Murgia ma Alexis Tsipras. Anche lui parla di Politica con la p maiuscola. L’amico Alessandro Gilioli così descrive un incontro con dei collaboratori di Tsipras: “Parlavano di politica, quella vera: povertà e strumenti per combatterla, decisioni locali o europee che fanno bene o male alle persone distrutte dalla crisi, effetti del fiscal compact, diritti sociali e civili, possibilità di ribaltare il tavolo senza cadere nelle semplificazioni populiste che tanto dilagano, ma con atti concreti e riforme forti, insomma con un New Deal europeo. Un’esperienza inedita, appunto: quando incontro qualche politico della sinistra italiana di solito si parla di correnti contrapposte, congressi da vincere, amici da piazzare e avversari da far fuori. Nel migliore dei casi, si estrae dai ricordi qualche schemino ideologico. In ogni caso la realtà, quella che sta fuori, pare non pervenuta”.
Riusciranno i nostri eroi, in continente, a costruire una “Europa possibile” facendo fare agli egoismi, alle manie di protagonismo, alla voglia di sistemare noi e i nostri amici un gran passo indietro? Riusciranno i nostri eroi a non discutere più di liste, listarelle, candidati, poltroncine, segreterie, ricollocazioni e amenità varie che da 20 anni caratterizzano il centro del dibattito nella sinistra italiana? Riusciranno a parlare con le persone? A dire loro delle cose chiare e nette, e possibilmente di sinistra su quel che si vuole e si può fare? Riusciranno per esempio a dire che l’uguaglianza dei diritti per tutti è la base programmatica intrattabile per costruire un’Europa dei cittadini e non delle banche?
Se i nostri eroi riusciranno a prendere questa strada, e solo questa, si comincerà ad uscire, per davvero, da questa orrenda e un po’ puzzolente palude che è la politica della seconda Repubblica. Ma perché ci possano riuscire c’è bisogno dell’impegno di ciascuno di noi.