La tensione seguita alle modifiche dell'accordo sulla rappresentanza è destinata a esplodere nel direttivo Cgil di venerdì 17 gennaio e assume un risvolto anche politico
E’ uno scontro imprevisto quello che contrappone nuovamente Maurizio Landini e Susanna Camusso. Anzi tra l’intera Fiom (dopo il Comitato centrale del 16 gennaio) e il resto del sindacato confederale, abbastanza compatto attorno al suo segretario. Una rottura che potrebbe coinvolgere la stessa segreteria Renzi e imprevista perché Camusso e Landini si erano accordati per una gestione unitaria del congresso Cgil che si è appena aperto e nel quale, addirittura, erano state concordate le percentuali di composizione degli organismi dirigenti. Un patto di grande coalizione che superava la contrapposizione dello scorso congresso – in cui l’area di Landini ottenne il 17% – e che ha lasciato fuori solo la piccola opposizione di Giorgio Cremaschi e della Rete 28 aprile. Ora, però, sull’accordo sulla rappresentanza siglato venerdì 10 da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria, si è consumata una nuova spaccatura. Landini si è sentito tradito perché la nuova intesa modifica la struttura di quella concordata lo scorso 31 maggio.
Cerchiamo di capire, semplificando il sindacalese, che in questi casi è inevitabile. La Costituzione stabilisce (art. 39) che i contratti firmati dai sindacati hanno “efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. E’ la clausola “erga omnes” per cui i contratti si applicano a tutti i lavoratori indistintamente. Ma chi stabilisce l’effettiva rappresentatività di chi firma i contratti? Nessuno. E quindi succede, come è successo alla Fiat, che quando un sindacato molto importante, ad esempio la Cgil, non firma un contratto, si apra un contenzioso infinito. Non esiste una legge ad hoc, se non nel pubblico impiego e questo è uno dei motivi per cui la Fiat è uscita da Confindustria che, per ovviare al problema, nel 1993 aveva firmato degli accordi ritenuti non più vantaggiosi da Marchionne. Fino a che Cgil, Cisl e Uil andavano a braccetto il tema non si è mai posto. Ma da quando è sorta la pratica degli accordi separati, il problema, come si è visto alla Fiat, si è posto seriamente.
La scorsa settimana Cgil, Cisl e Uil, insieme a Confindustria, hanno definito il Regolamento finale sulla rappresentanza (su cui un’intesa preventiva era stata firmata il 31 maggio) con l’individuazione di un sistema di certificazione dei consensi ottenuti dai sindacati (incrocio tra iscritti e voti ottenuti alle elezioni Rsu), una soglia di sbarramento (5% per ciascuna sigla sindacale) e la regola che i contratti siano validi quando ottengono la firma del 50% più uno della rappresentanza sindacale (di categoria o aziendale). Infine, qui c’è il nodo decisivo, hanno anche deciso che una volta firmati questi accordi i sindacati devono rispettarli (si chiama “esigibilità degli accordi”) pena “sanzioni, anche con effetti pecuniari” o “che comportino la temporanea sospensione di diritti sindacali”. Le parole virgolettate non erano presenti nell’accordo di maggio ma sono presenti nel Regolamento approvato la scorsa settimana.
In caso di contrasto all’interno delle varie categorie i tre sindacati confederali hanno deciso la costituzione di “un collegio di conciliazione e arbitrato composto, pariteticamente, da un rappresentante delle organizzazioni sindacali confederali interessate e da altrettanti rappresentanti della Confindustria”. Una soluzione che non lascia scampo alla Fiom se ci dovessero essere nuove divergenze e che motiva la furia di Landini. La Cgil risponde che l’intesa siglata definitivamente rispecchia gli accordi precedenti e si dice stupita della reazione della Fiom. (LEGGI QUI I DOCUMENTI COMPARATI). Lo scontro è destinato a esplodere nel direttivo Cgil convocato per venerdì 17 gennaio e assume un risvolto anche politico.
Non è sfuggito, infatti, il feeling che improvvisamente e a sorpresa Landini ha costruito con il nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi. Apertura al piano del lavoro (jobs act) di quest’ultimo, promessa di una legge sulla rappresentanza da parte del leader democratico al segretario Fiom. Quest’asse potrebbe essere stato preso di mira dalla tempestività con cui Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno siglato l’accordo proprio il giorno dopo la presentazione del jobs act di Renzi. Il quale, in questi giorni, è pressato da tutte le parti sia perché risolva, con una legge, il contenzioso, sia perché, al contrario, si astenga dal legiferare e lasci la pratica alle parti sociali. La Fiom si dice convinta che alla fine una legge sulla rappresentanza si farà e che accoglierà le sue istanze, mentre in Cisl sono convinti del contrario. Il caos è evidente e lo scontro nella Cgil ne rappresenta il vertice. La materia, per quanto ostica, è però di grande portata perché regolamenterà le condizioni di lavoro di milioni di persone e la loro effettiva possibilità di intervenire su una materia, il contratto di lavoro, che li riguarda molto da vicino. Al tempo delle primarie e delle consultazioni via web, il dossier non può essere accantonato.