Dopo i primi occasionali rinvenimenti, nel 1748 Carlo di Borbone si fece promotore dei primi scavi nell’area di Pompei. L’ irregolarità delle indagini e la mancanza di qualsiasi metodo scientifico ne determinarono il procedere. Con gli edifici che una volta dissotterrati e spogliati degli elementi più significativi, venivano nuovamente ricoperti. Gli scheletri delle architetture, quasi insignificanti presenze per quegli archeologi ante litteram.
Un po’ come sembrerebbe abbiano valutato i responsabili della Soprintendenza archeologica i resti scoperti nell’area del cantiere del centro commerciale realizzato nel territorio di Torre Annunziata, non lontano da Pompei. Ad appena 500 metri dalla celebre via Consolare, la strada dei Sepolcri del sito archeologico più famoso del mondo, e solo 800 metri dall’antica linea del mare.L’Espresso qualche giorno fa ha pubblicato la notizia dell’ipotizzato “incauto seppellimento”, corredando il reportage con alcune immagini scattate nel corso delle indagini preliminari. Una documentazione inequivocabile, almeno, di una fornace, di una tomba, di una copertura fittile e di un tracciato stradale. Proprio partendo da queste informazioni il procuratore capo della cittadina in provincia di Napoli e competente per l’area di Pompei, Alessandro Pennasilico, ha deciso di aprire un fascicolo e lo ha affidato a un pool di magistrati. Le indagini, delle quali si occuperanno i carabinieri, si preannunciano tutt’altro che brevi. Anche perché le attenzioni saranno rivolte anche alla Oplonti srl., la società costruttrice del megashopping.
Una vicenda che, naturalmente, ha riacceso i riflettori su Pompei. Ancora una volta per evidenziarne la cattiva gestione. Il controllo, a quanto sembra, insufficiente anche delle aree esterne alla grande area archeologica. Dopo l’inchiesta sui restauri, secondo l’accusa con costi gonfiati fino al 400% e lo scempio del teatro Grande restaurato con cemento e mattoni nello scorso febbraio. Dopo la chiusura degli scavi per uno sciopero agli inizi dello scorso aprile. Dopo l’utilizzo dell’anfiteatro per una cena organizzata alla fine dello scorso settembre in occasione del congresso del gruppo agenti di Fondiaria-Sai. Dopo i reiterati giudizi negativi espressi dall’Unesco. Dopo che il Grande Progetto Pompei, lanciato trionfalmente dall’ex premier Monti e da un drappello di suoi Ministri e rilanciato da Letta e da una nuova pattuglia di Ministri, è ancora sostanzialmente, fermo al palo. A distanza di quasi due anni.
Così mentre l’area archeologica è ancora molto in sofferenza, all’esterno non sembrano ravvisarsi segnali più incoraggianti. Da un lato l’abusivismo edilizio, che continua a segnare anche questa porzione di Campania. Dall’altro politiche culturali che appaiono improntate ad un’eccessiva prudenza. Scelte suggerite da una subalternità quantomeno mentale. Proprio come sembrerebbe essere accaduto per il centro commerciale che ha sepolto importanti testimonianze di età romana. Non diversamente da quanto si fece nel Settecento per Pompei. La circostanza forse esemplificativa di una modalità d’intervento. La convinzione da parte di molti addetti ai lavori che le indagini archeologiche preliminari alla realizzazione delle successive opere non siano che l’occasione per indagare porzioni di suolo altrimenti destinate a rimanere ignote per quel che riguarda la frequentazione antica. Che la rilevanza dei resti eventualmente scoperti sia incapace di modificare il progetto iniziale. Tantomeno di annullarne la realizzazione. Insomma, troppo spesso si assiste a casi di opere da farsi ad ogni costo. A prescindere da quel le indagini archeologiche potranno evidenziare nell’area. Urbanizzazioni e Tav, edifici singoli e complessi, strade e superstrade. Naturalmente, grandi centri commerciali. Ogni cosa appare necessaria.
E’ così che il Comune di Torre Annunziata si appresta ad avere un nuovo, grande, megastore. Con il Vesuvio in lontananza. Il paesaggio ridisegnato dagli “scatoloni” rettangolari che compongono la struttura. Con grandi parcheggi tra l’uno e l’altro. Architetture che contribuiscono ad omologare queste zone a quelle nelle quali si trovano analoghi insediamenti. Aggiunte senza qualità che assottigliano le differenze visive. Anche per queste ragioni scegliere di conservare le testimonianze archeologiche rinvenute, sarebbe stato importante. Farne un’isola di identificazione culturale in un territorio così “difficile” un segnale. A prescindere dalle eventuali responsabilità da parte della Soprintendenza archeologica che l’indagine giudiziaria accerterà, quel che è accaduto ha tutta l’aria di essere un’occasione persa. L’ennesima.