I supremi giudici hanno motivato la decisione sostenendo che l'ex ministro Dc aveva "accettato consapevolmente l’appoggio elettorale di un esponente di vertice" della mafia e quindi ha ritenuto motivata la custodia cautelare. Il politico siciliano venne poi scagionato dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa
“La detenzione di Calogero Mannino non fu ingiusta”. La Cassazione ha respinto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione avanzata dall’ex ministro democristiano, dal momento che – scrivono i supremi giudici nella sentenza 1921 – il politico aveva “accettato consapevolmente l’appoggio elettorale di un esponente di vertice” della mafia, Antonio Vella. Mannino è stato prosciolto definitivamente dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ma la Suprema Corte ha ritenuto motivate le esigenze cautelari.
L’ex ministro, attualmente imputato nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, è stato detenuto in carcere nel 1995 (dal 13 febbraio al 14 novembre) e, successivamente, nel 1997, ai domiciliari (dal 15 novembre al 3 gennaio). L’assoluzione definitiva arrivò nel 2010, dopo 17 anni di processo, quando la Cassazione respinse il ricorso della Procura di Palermo contro l’assoluzione. Ma proprio i tempi lunghi con i quali si arrivò al proscioglimento scatenarono gli attacchi della politica nei confronti della magistratura.
Oggi la Cassazione ha condiviso la valutazione della Corte d’Appello di Palermo che nel 2012 ha detto no al risarcimento richiesto dalla difesa di Mannino per ingiusta detenzione. I supremi giudici hanno ritenuto come “per un uomo politico di primo piano accettare consapevolmente l’appoggio elettorale di un esponente di vertice dell’associazione mafiosa e, a tale fine, dargli tutti i punti di riferimento per rintracciarlo in qualsiasi momento, integra gli estremi della colpa grave”, e continuano i giudici “costituisce, senza dubbio, condotta sinergica rispetto all’evento detenzione”.
Per effetto del rigetto del ricorso, l’ex Dc siciliano è stato condannato a sborsare le spese processuali e a rifondere il ministero dell’Economia con 750 euro per le spese sostenute nel giudizio in Cassazione.