Enrico Letta riapre il dossier della separazione dell'infrastruttura dalla società con ingresso della Cassa depositi e prestiti. Anche il sindaco di Firenze dà il suo assenso allo scorporo. Ma alle primarie aveva un programma molto diverso e puntava sulla creazione di una rete di terza generazione (che non ha niente a che vedere col rame). Il cambio di marcia targato Gentiloni
Scorporo o non scorporo. Rete pubblica o oligopolio privato. Il tema torna di attualità con il presidente del consiglio Enrico Letta che riapre il tavolo sulla separazione della rete in rame da Telecom Italia spa proprio mentre la società studia una nuova forma di governo societario. Ma mentre Letta è orientato allo scorporo, la posizione sul tema del nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, resta ambigua. Se è vero infatti che nell’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano lo scorso 2 gennaio, l’ex rottamatore affermava che su Telecom il governo dovrebbe chiarire che lo “scorporo della rete è una priorità”, nel suo manifesto politico, mai aggiornato dalle primarie del 2012, indicava chiaramente di essere favorevole ad “un next generation network messo a disposizione per tutti gli operatori di telecomunicazioni a parità di condizioni tecniche ed economiche e di proprietà di un soggetto esclusivamente pubblico senza fine di lucro e non scalabile promosso da Cassa depositi e prestiti”. Detta in altri termini, il neosegretario Pd sposava l’idea di una rete pubblica ultra moderna ben diversa dalla vecchia rete in rame di Telecom per il trasporto ad alta velocità di dati e traffico voce costruita in modo da favorire la concorrenza a vantaggio dei cittadini (LEGGI QUI IL DOCUMENTO INTEGRALE).
Un progetto ben diverso da quello di attirare semplicemente gli investimenti privati sulla vecchia infrastruttura prospettato da Letta e pure, in parte, condiviso da Renzi che, nella stessa intervista spiegava che “comunque bisogna avere l’assoluta garanzia di investimenti sull’infrastruttura, attraverso i meccanismi più vari”. Ma a che cosa è dovuto questo cambio di marcia del sindaco di Firenze? Probabilmente ai consigli dell’ex ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni, cui Renzi ha affidato l’approfondimento sul tema della rete, il cui sviluppo rappresenta il più importante investimento (15 miliardi secondo il ministero dello Sviluppo economico) in infrastrutture che il Paese dovrà affrontare negli anni a venire.
Gentiloni, candidato renziano per le primarie delle elezioni del sindaco di Roma, uscito di scena per far spazio a Ignazio Marino, non è però un tecnico della rete nè un esperto in nuove tecnologie. Ilfattoquotidiano.it ha cercato più volte di mettersi in contatto con lui nei giorni scorsi per un chiarimento sulla sua posizione in merito, ma l’ex ministro non si è reso disponibile. Giornalista formatosi nella testata Nuova ecologia prima di diventare portavoce di Francesco Rutelli ai tempi in cui con la Margherita era sindaco di Roma, Gentiloni ha iniziato a impossessarsi dei temi dell’Itc quando il secondo governo di Romano Prodi (2006-2008) lo proietta a capo del ministero delle Telecomunicazioni. Gentiloni, che lancia il bando sui Wimax, tecnologia che non è mai realmente esplosa in Italia, si occupa sostanzialmente di ristabilire gli equilibri nel mondo televisivo. In cima ai suoi pensiero c’è la Rai, della cui commissione di vigilanza era stato presidente dall’ottobre 2005, ma anche l’apertura del mercato a nuovi soggetti come la Sky di Rupert Murdoch.
E’ proprio durante il dicastero di Gentiloni che matura il penultimo passaggio di mano del controllo di Telecom, orchestrato dal banchiere di Intesa, Giovanni Bazoli, anche lui vicino a Prodi. Il gruppo di telecomunicazioni passa infatti nel 2007 dalle mani della Olimpia di Marco Tronchetti Provera a quelle dei soci italiani Generali, Mediobanca e Intesa più la spagnola Telefonica riuniti nella holding Telco. CIoè la scatola di controllo di Telecom la cui maggioranza è stata ceduta dalle banche a Telefonica lo scorso 24 settembre.
L’affare Telecom e i personaggi che ruotano attorno alla partita della compagnia oggi guidata da Marco Patuano non sono insomma cosa nuova per Gentiloni, che sa bene come l’azienda sia gravata da 29 miliardi di debiti, buona parte dei quali è garantita proprio dalla rete in rame. Debiti che l’azienda, con sommo interesse da parte delle banche creditrici, vorrebbe poter ridurre sensibilmente. Magari attraverso la separazione della rete in una nuova società da condividere con nuovi azionisti come la Cassa Depositi e Prestiti, senza però perderne il controllo. Senza contare che l’ex ministro, di recente tornato alle cronache per essersi schierato a favore delle dimissioni del ministro Nunzia De Girolamo e in passato protagonista di un duro botta e risposta con Beppe Grillo sul tema dell’occupazione abusiva di Rete4 di Silvio Berlusconi delle frequenze di Europa7 dell’imprenditore Francesco Di Stefano, sa anche come la partita Telecom se da un lato è cruciale sia per le banche, alle prese con la riduzione della taglia dei propri bilanci e dei finanziamenti alle imprese, sia per chi voglia proporsi alle prossime elezioni come rinnovatore. E non restauratore.
Successivamente alla pubblicazione dell’articolo, l’ex ministro Paolo Gentiloni ha contattato la redazione spiegando che non ritiene possibile effettuare gli investimenti nella rete, come sostiene il management di Telecom Italia, in maniera ordinaria, ma pensa sia necessario uno scorporo della rete e l’impegno della Cassa Depositi e Prestiti. Una conclusione che ritiene possa emergere anche dal rapporto che ha stilato il numero uno dell’Agenda Digitale, Francesco Caio, e che condivide con il segretario Pd, Matteo Renzi.