Critica la situazione nelle zone montane della Regione. Si aggrava il rischio idrogeologico. I Consorzi di bonifica regionali: "Si evidenzia un generale incremento del valore allarmante del rischio di dissesto idrogeologico"
Nell’Italia del dissesto, dove ad ogni pioggia abbondante si iniziano a contare danni e vittime, le zone montane dell’Emilia-Romagna non fanno eccezione. Complice la solita urbanizzazione fuori controllo, si aggrava anche qui il rischio idrogeologico. Il suo valore, dicono le stime aggiornate degli esperti, sfiora ormai il miliardo di euro. E la prevenzione vera, quella che taglia di 5 o 7 volte il danno che deve essere affrontato poi, rimane poco applicata. Un appello in questo senso al Governo, l’unico sulla carta ad avere dotazioni adeguate ad affrontare il fenomeno ma sempre in ritardo rispetto agli interventi concreti, lo ha lanciato giovedì 16 gennaio a Bologna la conferenza annuale dei Consorzi di bonifica regionali riuniti nell’unione Urber. “Si evidenzia un generale incremento del valore allarmante del rischio di dissesto idrogeologico”, avvisano i tecnici.
Anche nel 2013 sono stati numerosi gli interventi realizzati dai diversi enti territoriali addetti alle bonifiche. Tanto che l’ammontare complessivo del valore del rischio in Emilia-Romagna, un territorio non da oggi fragile, è schizzato fino a quota 985 milioni di euro rispetto ad un totale italiano di 7 miliardi. Appena un anno fa la stima del rischio regionale era di 853 milioni, a dimostrazione di come il peggioramento sia in atto e sarebbe da arginare al più presto.
In fondo, le prospettive continuano a non essere buone. Come ha calcolato di recente il presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, Gabriele Cesari, sono ben 70mila le frane cartografate che fanno dell’Emilia-Romagna la regione italiana più colpita dal dissesto idrogeologico. In particolare, nelle province emiliane si arriva anche al 30% del territorio collinare e montuoso interessato da smottamenti, come testimoniano le emergenze degli ultimi anni ancora nitide nei ricordi di chi le ha vissute da vicino. Solo nell’ultima primavera si sono riattivate circa 1.700 frane, molte delle quali classificate ‘quiescenti’, in stato di inerzia, ma evidentemente pronte a manifestarsi alla prima circostanza utile. Anche nella montagna forlivese in questi anni le emergenze non sono mancate e, secondo i critici, il nuovo corridoio di asfalto Orte-Mestre che attraverserà l’Appennino a suon di tunnel (oltre 60 i chilometri di gallerie previste) metterà di nuovo a dura prova l’assetto idrogeologico locale.
La Regione Emilia-Romagna, tramite i suoi assessorati ad Agricoltura e Suolo, un mese fa ha annunciato di poter stanziare 1,8 milioni di euro per interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, un importo al quale si sommano i 15 milioni di euro annuali che gli stessi Consorzi di bonifica ricevono come contributo montano. Numeri che non possono bastare, e non bastano. “A livello italiano è stato speso solo lo 0,1% delle risorse all’epoca destinate dal Cipe alla salvaguardia del territorio. I numeri dell’Emilia-Romagna certo non rincuorano, a questo si aggiunge un’urbanizzazione spesso incontrollata”, ha avvisato il presidente Anbi (Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni) Massimo Gargano alla conferenza di Bologna.
Il dato preoccupa anche il presidente Massimiliano Pederzoli, presidente di Urber, che chiarisce a chi è rivolto l’allarme: “Urber ha di recente messo in campo un’utile convenzione con la Regione Emilia-Romagna e con l’Uncem (l’Unione nazionale Comuni, comunità e enti montani, ndr) per spendere dove serve, ma per gli eventi straordinari è chiaro che la portata dei lavori per la messa in sicurezza complessiva è ben diversa e si impone uno sforzo corale che deve partire da ben più lontano e prima che sia troppo tardi”.
Gli interventi segnalati dai Consorzi nell’anno appena trascorso dopo le verifiche tecniche sono ben 1.018 e, concordano gli addetti ai lavori, “richiamano prepotentemente l’attenzione della comunità e della politica verso questo tipo di emergenza di cui spesso ci si accorge solo a giochi fatti”.
E sì che mettere in sicurezza preventiva il territorio significherebbe risparmiare dalle 5 alle 7 volte il denaro pubblico speso per l’intervento a emergenza avvenuta ma anche dare certezze maggiori a chi vive e fa impresa nei territori stessi, insomma creare un’economia più stabile. “Il piano per la mitigazione del rischio idrogeologico nazionale- evidenzia Gargano- indica chiaramente migliaia di interventi prontamente cantierabili che, oltre a dare qualche sicurezza in più a chi vive nei territori, porterebbero a un significativo aumento occupazionale”.