Per Saccomanni sarà l'anno della ripresa, ma i sindacati spiegano che il 2014 si è aperto con migliaia di lavoratori in mobilità, precari assunti a termine che poi vengono lasciati a casa a fine anno, operai di ex eccellenze del made in Italy che rimangono senza lavoro in seguito alla chiusura degli stabilimenti
In Emilia Romagna il 2014 inizia con un boom di domande per il sussidio di disoccupazione. Eppure, secondo il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, dove essere l’anno della ripresa. Nella terra che un tempo fu epicentro produttivo del Belpaese, patria di alcune delle principali aziende italiane, racconta la Cgil di Forlì, la prima a lanciare l’allarme sul trend emerso già nei primi giorni di gennaio, “il flusso delle persone che si rivolgono ai sindacati per ottenere il contributo statale in attesa di trovare lavoro è in aumento”. Secondo i dati ancora non ufficiali a disposizione della Camera del Lavoro di Forlì, confermati anche dalle altre provincie emiliano romagnole, come Bologna, Parma e Modena, sono mediamente circa 30 – 40 i cittadini che, quotidianamente, nella prima settimana del nuovo anno hanno compilato la richiesta per ottenere il sussidio: “Un dato – spiega il sindacato – che testimonia un grave problema occupazionale perché il ‘boom’, in molti casi, corrisponde al mancato rinnovo del contratto”.
Lavoratori in mobilità, precari assunti a termine che poi vengono lasciati a casa a fine anno, operai di ex eccellenze del made in Italy che rimangono senza lavoro in seguito alla chiusura degli stabilimenti: “La situazione di criticità che si era già evidenziata nel 2013 si sta aggravando”, sottolinea la Cgil. “Solo a Bologna l’aumento è mostruoso – spiega Maurizio Lunghi della Camera del Lavoro Metropolitana del capoluogo – in più, per fare un esempio, in città su 91mila iscritti ai centri per l’impiego, 60mila sono in lista da più di 12 mesi, segno che non riescono a trovare un altro lavoro, e 28mila sono over 50. E il problema è che l’Italia attualmente non ha gli strumenti per sostenerli”. I dati confermano, di fatto, i numeri diffusi dalla Banca d’Italia, che descriveva un 2013 da bandiera nera, con una disoccupazione record, in regione, pari al 9,4%: “Un tasso mai visto dal ’93’” secondo Eliana Viviano, della Banca d’Italia di Bologna. Il problema, sottolinea la Cgil, “sono le aziende in crisi”.
A Bologna, tra edilizia, metalmeccanica e settore manifatturiero, la lista è lunghissima. C’è la Motori Minarelli, che a dicembre ha firmato un accordo che prevede la riduzione dell’orario lavorativo per 20 dipendenti, 19 esuberi volontari e sei mesi di contratto di solidarietà, scongiurando 56 licenziamenti, la Bosch, la Bonfiglioli Riduttori, la Mape, sull’orlo del concordato per evitare il fallimento. Cè la Mandarina Duck, che alla fine la Dotta non l’ha lasciata grazie a un accordo firmato il 3 ottobre scorso, mentre la Guess, al contrario, si è trasferita in Svizzera, con 50 dipendenti, soprattutto donne, spesso terremotate visto che il sito produttivo era a Crevalcore, in pieno ‘cratere, a cui non è rimasta che la cassa integrazione speciale per i prossimi due anni. Sempre a Bologna in crisi c’è la Marzocchi di Zola Predosa, colosso delle sospensioni per le due ruote, che è ricorsa ai contratti di solidarietà per 12 mesi con possibile proroga, la Limoni di Bentivoglio, la Breda Menarini, la Cnh di Imola, la Castelli che si avvia verso la liquidazione, con 200 lavoratori a rischio. Stessa situazione a Forlì, dove per contare le vertenze aperte non bastano le dita di entrambe le mani.
C’è la Dometic, la fabbrica i cui proprietari avevano tentato il blitz estivo: svuotare lo stabilimento mentre gli operai erano in ferie, per poi trasferire la produzione in Cina. E solo un accordo siglato in extremis ha salvato i lavoratori garantendo loro, dopo manifestazioni e proteste che si sono succedute per settimane, dodici mesi di cassa integrazione, esuberi ridotti da 45 a 25 unità e il mantenimento della produzione nel sito. Ancora incerta è invece la situazione degli operai della Electrolux: sulla crisi dell’azienda che ha sedi in tutta Italia ci sarà un incontro il prossimo 20 gennaio, come ha confermato il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato, tuttavia la minaccia paventata dalla proprietà della multinazionale svedese di trasferire la produzione nell’Europa dell’Est resta, e pende come una spada di Damocle sulle spalle di 3.000 lavoratori, più l’indotto. Grave, poi, è anche la situazione all’Alpi Legno di Modigliana, dove i posti a rischio sono 250.
A Parma, se la crisi della Heinz Plasmon è stata tamponata dall’attivazione degli ammortizzatori sociali per i tre stabilimenti italiani, i sindacati devono fare i conti con la vertenza relativa alla Corradini spa, che il 24 ottobre scorso ha annunciato 150 licenziamenti e la chiusura di diverse filiali in Emilia Romagna. A Ferrara un accordo ha salvato 611 lavoratori ed evitato la chiusura della Berco di Busano Canavese, ThyssenKrupp, prorogando la cassa integrazione per gli operai, e ora tutti gli occhi sono puntati su Lyondellbasell, che aveva annunciato un drastico ridimensionamento del Centro di ricerche Giulio Natta da 105 esuberi. E la cassa integrazione si è dimostrata l’unica strada per garantire un reddito anche ai lavoratori della Newlat di Reggio Emilia, mentre resta da sciogliere il nodo della vertenza Giorgio Armani. A Modena, teatro di uno dei blitz più eclatanti di un 2013 di passione per il mondo del lavoro, quello della Firem, che a ferragosto aveva smantellato lo stabilimento approfittando delle ferie dei lavoratori, poi rientrati di tutta fretta per bloccare l’ultimo camion, si respira molta amarezza. Il 19 dicembre, dopo mesi di tira e molla, la famiglia Pedroni, proprietaria della fabbrica di Formigine, ha annunciato che l’azienda andrà in Polonia, cessando l’attività e chiudendo con un concordato preventivo. Ed è bloccata, ma per altre ragioni, è anche la Terim: si attende il tavolo al ministero per far partire l’accordo con gli egiziani, necessario a riavviare la produzione.
“Le vertenze sono moltissime – commenta la Cgil – e ad esse bisogna sommare tutte quelle piccole e piccolissime imprese oggi in difficoltà, spesso legate al settore edile, ceramico, chimico, che non possono usufruire della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, e sopravvivono solo grazie a quella in deroga”. Una soluzione ponte in attesa della famosa ripresa poteva essere la legge di Stabilità, ma i sindacati sono rimasti delusi. “Speravamo in una estensione della cassa integrazione – spiega Massimo Bellini, segretario della Cgil Fillea Rimini – invece il governo ci ha lasciati soli a gestire una situazione in cui le aziende sono sovradimensionate, per numero di lavoratori, rispetto al regime produttivo in tempo di crisi, inferiore rispetto a quello di qualche anno fa. E in più hanno tagliato del 10% i contratti di solidarietà”. Per la Cgil la ripresa è tutt’altro che prossima: “per riassorbire i posti di lavoro persi serviranno almeno 4 anni, ma per resistere ci vogliono sostegni al reddito – sottolinea Lunghi – ad aprile, solo a Bologna, avremo 5mila nuovi disoccupati se la cassa in deroga non sarà rifinanziata”