Un poliziotto in borghese, convinto che Frank Zappa usasse il suo studio di registrazione per girare film porno, gli commissionò un video piccante. Era il 1965. Lui, povero in canna e attirato dai cento dollari promessi, improvvisò una registrazione audio, il massimo che riusciva a fare con i propri strumenti. Al momento della consegna, fu arrestato. “C’erano quarantacinque uomini nella cella”, racconterà. “Il gabinetto e la doccia non erano mai stati puliti. La temperatura era di centodieci gradi, così non riuscivi a dormire né di notte né di giorno. C’erano scarafaggi nei fiocchi d’avena, guardie sadiche e tutto il meglio”.
Ozzy Osbourne nel febbraio del 1982 finì dietro le sbarre per aver fatto una pipì nel posto sbagliato. Quello non era un sasso qualsiasi bensì era parte dell’Alamo, il monumento simbolo della rivoluzione texana. Per espletare il suo bisogno si era dovuto alzare la sottana: era vestito da donna perché l’amata moglie gli aveva nascosto gli abiti al fine di impedirgli di uscire a comprare alcol. Johnny Cash in galera da detenuto ci è finito sette volte. E due volte ci è andato a tenere memorabili concerti, scaturiti nei due incredibili dischi live delle prigioni di Folsom e San Quentin.
David Bowie, sorpreso nella sua lussuosa suite dell’Americana Hotel di Rochester il 21 marzo ’76 con 182 grammi di marijuana, dichiarerà elegantemente ai margini del processo che i quattro poliziotti “sono stati molto cortesi e gentili”. Di più: “sono stati super”, affermerà. Con lui c’era il ventottenne James Newell Osterberg jr., meglio noto come Iggy Pop. Due Beatles su quattro sono stati ammanettati dal detective Norman Clement Pilcher della squadra narcotici di Sua Maestà britannica. Oltre a quelli di George Harrison e John Lennon, l’inflessibile detective conta nella sua carriera gli arresti di Donovan, Brian Jones, Keith Richards, Eric Clapton, Mick Jagger.
Non amava i ragazzi con i capelli lunghi che si drogavano, e così iniziò ad arrestare i miti del rock a uno a uno. Prima di finire anche lui al fresco per aver testimoniato il falso. E poi c’è Billy Holiday, addirittura morta in stato di arresto in un ospedale presidiato dalla polizia, i grandi bluesmen condannati senza troppe garanzie perché poveri e neri (si racconta che Leadbelly fu graziato due volte di seguito da due governatori diversi rapiti dalle sue musiche strazianti), Joan Baez in galera per la sua opposizione alla guerra del Vietnam, Victor Jara morto imprigionato nello stadio di Santiago a pochi giorni dal golpe di Pinochet, Roberto Murolo la cui carriera è stata stroncata da un’infamante quanto infondata accusa di pedofilia. E tante, tantissime altre storie.
Non c’è mestiere più rischioso di quello del musicista. Queste storie raccontano lo spaccato di mezzo secolo da un punto di vista inconsueto, quello dell’utilizzo dello strumento penale nei confronti dell’ambiente più trasgressivo del nostro mondo. È quel che facciamo nella trasmissione radiofonica ‘Jailhouse rock. Suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni’. Raccontiamo storie e ascoltiamo musica. E da queste storie e da questa musica prendiamo spunto per raccontare delle galere nostrane, quelle italiane ormai allo sfascio. Ma non vogliamo farlo da soli. Sono anni ormai che abbiamo dato la parola anche a loro, ai detenuti che queste galere vivono in prima persona. Nostro inviato specialissimo è poi da anni Carmelo Cantone, un tempo direttore di Rebibbia e oggi provveditore alle carceri toscane, ogni settimana in collegamento diretto. All’interno di ‘Jailhouse rock’ va in onda il Grc, il Giornale Radio dal Carcere, interamente curato da due redazioni di detenuti che lavorano dentro Roma Rebibbia e dentro Milano Bollate. Da Bollate ci arriva anche una preziosa collaborazione musicale. I bravissimi musicisti del gruppo Freedom Sounds mandano in onda dentro ‘Jailhouse rock’ le loro cover degli artisti trattati in trasmissione. Due settimane fa Patty Pravo ha ascoltato in diretta la loro interpretazione di E dimmi che non vuoi morire ed è rimasta impressionata.
Il carcere è un pezzo di società e piaccia o non piaccia ha diritto di parola. La reclusione, come tutte le fonti di diritto internazionale spiegano, deve consistere solamente nella limitazione della libertà di movimento. Il resto è una pena aggiuntiva che una società democratica non può permettersi di infliggere. Vivere ammassati, stare al freddo, non avere cure, mangiare da schifo: tutto questo non c’entra niente con la pena del carcere. Così come non c’entra niente il mettere a tacere. ‘Jailhouse rock’, con il suo Giornale Radio dal Carcere, dà voce a chi è recluso. E in questi anni di trasmissioni settimanali, vista la qualità del Grc dei detenuti di Rebibbia e di Bollate, ha dimostrato che ne valeva davvero la pena.