Quello di oggi pomeriggio è l’incontro tra due tipi la cui bocca è scollegata dagli occhi. Fateci caso, sia Silvio Berlusconi che Matteo Renzi sorridono all’insegna della massima affidabilità, ma il loro sguardo resta gelido; da gente “che non fa prigionieri”. Anche quando tende a proporre una certa immagine accattivante di sé.

Difatti il Cavaliere – a seconda delle necessità – indossa due maschere: quella della vecchia zia amorevole, che ti ha preparato i pasticcini e il tè, quella della iena, pronta a sbranare l’avversario in difficoltà. Nel primo caso utilizza i simulacri al bromuro di Alfano, Letta Sr. o – attualmente – Toti. Nell’altro, indossa le grinte da battaglia di una Santanchè o di un Capezzone. Fermo restando che nell’un caso come nell’altro trattasi semplicemente di avatar.

Anche il neo segretario Pd ha più facce. Ma dato che è nuovo della scena, il suo gioco appare più scoperto. Ora si atteggia a salvatore del governo Letta, inserendolo nel tormentone partiam-partiamo del “fare”. Ma anche qui il gioco è palesemente strumentale: Renzi deve per forza andare alle elezioni. L’imperativo è quello di far cadere l’attuale compagine governativa.

Sicché il dialogo con Berlusconi risulta il modo migliore per minare l’aggregato montiano-alfanian-lettiano che sostiene il premier Enrico Letta. Un aggregato minacciato dalla riproposizione della logica bipolare che condanna all’estinzione i partiti più piccoli. Ma, a parte il fatto che il nostro sistema di Seconda Repubblica più che bipolare è sempre stato prevalentemente collusivo e che dalle scorse elezioni del febbraio 2013 la geografia politica italiana è ormai tripolare; a parte tutto questo, come si diceva Renzi ha un disperato bisogno di arrivare rapidamente alle elezioni politiche. Perché? Semplice: visto che sulla carta le prossime consultazioni sarebbero europee, appurato che dopo tanta demonizzazione dell’Unione tali consultazioni vedranno lo scatenamento di tutti gli irrazionalismi più beceri contro il processo di integrazione, sciovinismi e xenofobie comprese; l’appuntamento diventa quello meno favorevole come primo test della segreteria piddina rinnovata. Una facilmente prevedibile campana a martello per il nuovo corso; segnale del riapparire di tutti gli avversari che ora restano acquattati nell’ombra in attesa del momento per un nuovo regolamento di conti.

Da qui l’urgenza renziana di rottamare Letta, collegando alle scadenze previste anche le elezioni politiche, in cui i sondaggi accrediterebbero il sindaco di Firenze di buone chances.

Con l’ennesima coazione a ripetere, che smentisce ulteriormente la favola metropolitana del “Renzi nuovo che avanza”: la secessione di Alfano dal berlusconismo sembra il remake di quella di Gianfranco Fini. Entrambe destinate al fallimento perché l’ipotetica controparte politica della destra (allora Veltroni, oggi Renzi) non offrirono sponde politiche ai transfughi.

Di certo non piangeremo sulla sorte personale dell’attuale vice premier (e con noi non lo farà una bistrattata signora bielorussa) né dei suoi compagni di sventura. Resta comunque da interpretare il mistero di cosa c’è dietro al fatto che i leader centrosinistri – alla fin fine – corrono sempre al salvataggio di Berlusconi.

Sarà perché gli sono antropologicamente affini? Guarda caso, anche D’Alema e Veltroni hanno bocca e occhi scollegati.

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