Avrebbero fatto sottoscrivere priodotti finanziari sofisticati, in particolare dei derivati swap, ad un imprenditore dicendogli che avrebbero permesso una “copertura dal rischio di variazione del tasso d’interesse” variabile del mutuo quindicennale da 700mila euro che aveva sottoscritto nel 2004. Invece – secondo l’accusa – a Ruggiero Di Vece, titolare della ditta pugliese Euroalluminio, specializzata nella vendita di materiali per l’edilizia, furono fatti firmare prodotti finanziari truffaldini “via via più gravosi”, che aggravarono la sua posizione perché favorivano solo la banca. Per questo i vertici di Intesa San Paolo e della controllata Banca Caboto, ora Banca Imi, sono indagati a Trani.
Il pm inquirente, Michele Ruggiero, ha fatto notificare a 15 indagati un avviso di conclusione delle indagini in cui si contestano i reati di truffa aggravata continuata (ad alcuni funzionari) e di concorso in abusivismo finanziario. Nell’indagine sono finiti nomi noti al mondo bancario e finanziario. Tra gli altri: Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza ed ex presidente della banca, Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo economico nel governo Monti e amministratore delegato di Intesa fino al 2011, Enrico Salza, ex presidente del consiglio di gestione, Giampio Bracchi, ex vicepresidente e Giovanni Gorno Tempini, ex amministratore delegato di Caboto, oggi amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti.
Secondo il pm Ruggiero – lo stesso che ha condotto le indagini sulle fluttuazione del tasso Euribor e sulle agenzie di rating – i prodotti finanziari fatti sottoscrivere dalla banca a Di Vece (riservati ad operatori “qualificati”) erano “strutturalmente inadeguati a tale funzione per la loro peculiare natura speculativa (cioè vere e proprie scommesse sui tassi), sempre sbilanciata in favore della banca”. I contratti – secondo quanto riporta la stampa locale – hanno procurato a Banca Intesa un ingiusto profitto patrimoniale stimato in oltre 100mila euro. Ai vertici della banca il magistrato contesta di essere stati “consapevoli che i contratti swap” fatti sottoscrivere all’imprenditore, erano favorevoli solo all’istituto di credito.
Gli indagati – è la tesi dell’accusa – “coscientemente e volontariamente (e quanto meno con dolo eventuale), predeterminavano le condizioni per la negoziazione di contratti derivati di natura truffaldina”. Quindi, amministratori e manager sono accusati di aver permesso la vendita sul mercato non professionale di prodotti finanziari complessi, di non aver informato correttamente la clientela sui rischi; di non avere tenuto conto delle segnalazioni dell’auditing interno e della Banca d’Italia. In poche parole, predeterminatamente “inducevano, consentivano e non impedivano” che la truffa si consumasse, “assumendosene le relative responsabilità”. Accuse che Intesa Sanpaolo respinge: “Nel ribadire la piena convinzione della correttezza del proprio operato – è detto in una nota – conferma la fiducia nell’operato delle Autorità inquirenti alle quali, come sua consuetudine, ha prestato la massima collaborazione”.