È stato uno splendido regalo per il 2014 il post che Fabio Marcelli ha dedicato al mio commento ad un suo peana al Venezuela. Nel mio commento asserivo che “La pretesa di imporre una morale attraverso la politica conduce allo stato etico, il nirvana dei fascisti alla Evola. È questo il motivo per cui gli estremi alla fine portano alle stesse conseguenze: autoritarismo e repressione. L’unica differenza è la giustificazione […] che si adotta per convincere le menti labili ad accettare il guinzaglio o la sella. In Venezuela come a Cuba. In Ungheria come in Bielorussia. A Myanmar come in Iran”.
L’argomento di Marcelli si sviluppa in sette punti. Il primo è una precisazione: la moralizzazione dello Stato per Marcelli non significa stato etico. Allora è un’ovvietà su cui sono tutti d’accordo: la repressione dei crimini commessi da semplici cittadini o da pubblici ufficiali è affidata ai giudici e alla polizia, senza scomodare morale o massimi sistemi. È altrettanto ovvio auspicare che tutti vigilino sull’onestà degli eletti (il punto due) ma è affare pratico, non ideologico. Per esempio io introdurrei: a) la protezione ferrea del whistleblower e del pentito insieme ad una taglia su chi fornisce prove che portino alla condanna di un corrotto; b) una polizia e una magistratura specializzate nei reati contro la pubblica amministrazione; c) un’Agenzia delle Uscite con poteri di veto per le spese assurde (non la farsa chiamata Corte dei Conti).
La faccenda si fa interessante nei punti tre e quattro, dove si parla di “Stato minimo”, che per qualche arcano motivo sarebbe ipso facto “subordinato in tutto e per tutto al mercato, leggasi alle scelte dei poteri finanziari ed economici forti”. Per di più “questo tipo di Stato, che è quello esistente in Occidente […] non impedisce alla corruzione di proliferare”. Anzi secondo Marcelli “al di là delle chiacchiere, infatti, la corruzione, intesa come potere del denaro che impone determinate scelte a chi governa, costituisce il brodo di coltura degli attuali governi occidentali e di altre parti del mondo”.
Iniziamo dai dati di fatto. In quasi tutti i Paesi occidentali avanzati le spese delle amministrazioni pubbliche non sono inferiori al 40% del Pil. Per paesi tipo l’Italia vanno aggiunte le imprese controllate dallo stato come Eni, Snam, Enel, Trenitalia, Terna, Rti, Poste, Finmeccanica, Fincantieri, tutte le banche gestite dalle Fondazioni pubbliche (avete presente MPS?), le municipalizzate, la Cassa Depositi e Prestiti con la selva di società partecipate. Poi dovremmo aggiungere le attività formalmente private, ma in mano ai partiti, come le cooperative rosse, la galassia di Comunione e Liberazione, quelle che mangiano dalla Rai, le non-profit. Si viaggia verso i due terzi dell’economia.
A parte le piccole imprese, il commercio al dettaglio, le partite Iva, alcune professioni mediche e legali, lo Stato invade tutto. Dove non arriva il burocrate arriva Equitalia. Una situazione da ex Jugoslavia piuttosto che da “stato minimo”. Al di là della propaganda, quasi tutti i governi occidentali da un secolo hanno esteso il perimetro dello stato.
Come si alimenta la corruzione? Quanto maggiore è la porzione di Pil affidata a burocrati e politici tanto più vasto e denso il brodo di coltura. Di nuovo tralasciamo gli slogan e prendiamo i dati disponibili: Transparency International pubblica un confronto internazionale sulla corruzione. Tra i meno corrotti (nei primi 10 posti tra i virtuosi) ci sono i paesi nordeuropei (intrisi di etica protestante) e quelli dove lo Stato è meno invadente: Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Norvegia, Singapore, Svizzera, Olanda, Australia e Canada. Seguono altri paesi con minore invadenza pubblica (Usa, Uk, Hong Kong, Barbados, Lussemburgo).
In fondo ci sono regimi semi falliti come lo Yemen, i due Sudan, i due Congo, la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, Haiti e paesi a regimi autoritari di diretta derivazione sovietica, Uzbekistan, Tajikistan, Turkmenistan, autocrazie di stampo socialistoide con l’economia boccheggiante, Venezuela, Zimbabwe ed Eritrea e infine una giunta militare, Myanmar. All’ultimo in assoluto Somalia e Corea del Nord, faro del comunismo. Per la cronaca l’Italia è a mezza classifica, al 69mo posto (tra i paesi sviluppati fa peggio solo la Grecia 80ma in classifica). I Fiorito di cui Marcelli lamenta l’esistenza (io lamento anche la serie quotidiana di scandali) si diffondono proprio perché in Italia lo Stato non è affatto minimo e nemmeno leggero. Lo stato è soffocante, autoritario con i deboli e vigliacco con la nomenklatura. In generale la corruzione dilaga proprio dove la mezza tacca di burocrate deve concedere l’autorizzazione anche per andare in bagno, come avviene in Venezuela paradiso della mazzetta rigorosamente in dollari yanquee.
Il punto 5 evoca la vulgata della “concentrazione del potere decisionale nelle mani della finanza”. In Italia grandi banche, fondi pensione, risparmio gestito sono in mano a politici (o ex politici) e sindacalisti. Ogni Regione ha la sua finanziaria gestita direttamente dai partiti. Persino in Usa l’epicentro della crisi, i mutui subprime, erano di pertinenza di due banche a garanzia pubblica, Fannie Mae e Freddie Mac. La verità è che quando lo Stato decide su tutto senza riguardo per i diritti individuali dei governati, inevitabilmente si creano commistioni incestuose tra grandi imprese (sia finanziarie che industriali, tipo quelle automobilistiche) e politica. I mestatori fanno carriera e i politici diventano casta.
Il punto 6 tira in ballo nientemeno che una citazione di Papa Francesco secondo la quale “il capitalismo è contrario ad ogni forma, fosse anche la più elementare, di solidarietà sociale. Esso distrugge ogni legame fra gli esseri umani, incentivando la competizione e la lotta di tutti contro tutti”. Evito ironie su questa infatuazione dei vetero tupamaros per il gesuita argentino. Mi limito a ribadire che le società progrediscono quando si premia il merito. È ovvio che mediocri e sfaticati aborriscano tale nozione e inneggino al parassitismo (di cui la Chiesa è esempio superlativo).
Il punto 7 ci informa che il capitalismo è “oramai definitivamente privo di anima, cuore e cervello” e conferma l’amore per Cuba ed il Venezuela. Questo è l’aggiornamento sulla tragedia in Venezuela. Quanto al paradiso caraibico dei fratelli Castro in tanti lo osannano, ma nessuno (nemmeno Marcelli) vi si trasferisce dagli infami paesi capitalisti senza anima e tutto il resto. Anzi molti cercano di fuggire, maledetti scervellati!