La visione dell’opera è avvenuta in un cinema parigino, giacché dopo la premiére danese a Natale, in Francia il primo capitolo è uscito a Capodanno e sarà seguito a fine mese dal secondo: l’Italia dovrà attendere la primavera per poter vedere i “primi” tormenti della nymphomaniaca Charlotte Gainsbourg
Coitus interruptus. Ecco la sensazione provata da chi esce dalla sala dopo aver visto Nymphomaniac – Vol I di Lars von Trier. Già, parliamo dell’attesissimo, iperdibattuto (a priori) ed ovviamente ammantato di mitologia nuovo film del più controverso regista danese contemporaneo. Diciamo subito che il problema non è in sé il film Nymphomaniac – che è magnifico – bensì il concetto di “Volume I”, cioè l’idea di separare in due parti un corpus pensato come unico e nel quale esso trova un senso compiuto.
La visione dell’opera è avvenuta in un cinema parigino, giacché dopo la premiére danese a Natale, in Francia il primo capitolo è uscito a Capodanno e sarà seguito a fine mese dal secondo: l’Italia dovrà attendere la primavera per poter vedere i “primi” tormenti della nymphomaniaca Charlotte Gainsbourg, mentre per i “secondi” si farà presumibilmente estate. Ma intanto la pellicola intera di cinque ore, e senza censure, passerà a febbraio fuori concorso al Festival di Berlino e allora sarà godimento allo stato puro poter monitorare i tagli compiuti per l’uscita regolare nelle sale. Con una fondamentale nota a margine: tagli e separazioni in Volumi nascono col consenso dell’autore, uomo d’Arte e di Parte, dunque capace di comprendere i vantaggi di una doppia operazione di lancio.
Se quindi la castrazione si allinea al mercato, altrettanto non si può affermare del piacere narrativo, drammaturgico ed estetico “interrotto” di Nymphomaniac, opera che nelle due ore del Vol I offre le premesse per essere un grandissimo film. Von Trier coralizza l’essenza dell’intimità umana attraverso la parabola di Joe (Gainsbourg e la brava Stacy Martin nel ruolo della protagonista in età adolescenziale), donna affetta da desiderio sessuale compulsivo, casualmente (?) capitata sul lettino para-psicanalitico di Stellan Skarsgård che la salva letteralmente dalla strada. Il film si apre magistralmente: rumori e immagini di pioggia incessante in una struttura urbana di indefinite atmosfere anglosassoni – spostamenti di inquadratura a ritmo costante – d’improvviso un uomo passa sullo sfondo e poco dopo è inquadrata – a terra – una donna sfigurata e apparentemente priva di sensi.
Il silenzio. Entriamo così nello straordinario mondo di Nymphomaniac, atroce ed ironico, inquietante come ogni “creatura” di Von Trier, uomo/artista tra i pochi a tenere chiunque sul dubbio perenne: “Ci è o ci fa?”. La sopravvissuta a se stessa Joe racconta al suo salvatore la storia della sua vita e di come sia diventata ninfomane. La vediamo giovanissima scopare ovunque e con chiunque, piangere sul letto del padre morente (con cui potrebbe sognare/avere un rapporto sessuale), innamorarsi dell’Uomo Qualunque, cercare l’armonia di Bach nella sintesi di tre amplessi ed infine teorizzare sul simbolismo di una forchetta. Un puzzle di situazioni/suggestioni incredibili che – ahimè – lasciano l’amaro in bocca nel momento in cui lo schermo sancise “Fin de Vol I”: coitus interruptus, perché se ne vuole ancora.