E' il primo caso nel Regno Unito. A.B. lotta per un diritto che, dice, le spetta “più di ogni altra cosa”. Ma l'autorità competente per le pratiche di fertilizzazione in vitro nega il prelievo. La parola passa ai giudici
Il partner di una vita è in stato vegetativo, intubato e ha persino subito una tracheotomia. Lei, considerando che potrebbe morire da un momento all’altro, vorrebbe poter prelevare il suo sperma e provare ad avere dei figli. La storia, che ricorda quella di un film di Almodovar, si sta consumando nel Regno Unito, dove A.B. – la donna non può essere identificata per motivi legali – è dalla vigilia di Natale che lotta contro giudici e tribunali per poter avere un diritto che, dice, le spetta “più di ogni altra cosa”. Ma la donna lotta soprattutto contro la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea), l’autorità competente per le pratiche di fertilizzazione in vitro. Contattato dal Fattoquotidiano.it, l’ufficio legale della Hfea fa sapere: “Non abbiamo alcun potere di consentire il prelievo dello sperma di una persona che non ha dato il suo consenso, come il partner di questa donna. Inoltre, non sappiamo che cosa pensi a riguardo. Quindi il prelievo non può essere effettuato”. E anche la legge britannica è chiara. Secondo lo Human Fertilisation and Embryology Act del 1990, lo sperma nel Regno Unito può essere prelevato solamente con il consenso del donatore.
Il caso è il primo nel Regno Unito e uno dei primi al mondo, così, continua la Hfea, “abbiamo considerato la vicenda in ogni minimo dettaglio. Siamo vicini alla donna e alla coppia e capiamo in quale difficile situazione ora si trovino entrambi. Però non si può fare nulla e ora ci rimettiamo alle decisioni dei giudici”. Nel mondo i precedenti nel mondo sono del resto pochissimi. Nel caso inglese, l’uomo è ormai in coma dopo una serie di infarti subiti nel mese di dicembre. I medici sono stati chiari con la donna, il suo partner potrebbe morire da un momento all’altro. Ecco quindi la richiesta urgente effettuata da A.B. la vigilia di Natale, richiesta alla quale un tribunale aveva inizialmente risposto in modo positivo. Ma, subito, è intervenuto l’istituto che si occupa di questa materia e l’Hfea è così riuscita a bloccare la pratica. La donna si è successivamente opposta al ricorso dell’istituto e una decisione dovrebbe arrivare dall’Alta corte entro poche settimane.
Al Fattoquotidiano.it l’avvocato della donna ha preferito non commentare. Ma si è venuto comunque a sapere che il legale sta combattendo contro l’Hfea anche su un altro fronte. L’istituto ha infatti stabilito, d’urgenza, che l’ospedale dove è ricoverato l’uomo non è attrezzato e idoneo alla raccolta del suo seme. Ma, secondo l’avvocato, la Human Fertilisation and Embryology Authority potrebbe concedere all’ospedale un permesso speciale, sempre d’urgenza, per il prelievo, al di là della volontà dell’uomo. L’Hfea sostiene di non poterlo fare, così ora il caso legale si porterà avanti in tribunale anche a suon di tecnicismi.
Rimane la forza, anche simbolica, di un caso che sta scuotendo le coscienze di molti britannici e soprattutto di chi si occupa dei diritti delle donne e delle famiglie. Durante il procedimento d’urgenza in tribunale, l’avvocato di A.B. ha ricordato come l’uomo le avesse chiesto di sposarlo, donandole anche un anello. E la donna ha più volte giurato, di fronte al giudice, che il suo partner avrebbe voluto la stessa cosa per lei. Nulla si sa, chiaramente, delle reali intenzioni dell’uomo, ora che è mantenuto in vita artificialmente, ma più persone chiamate a testimoniare hanno detto come lui fosse realmente intenzionato ad avere una famiglia. Ora interverrà anche la Court of protection, un tribunale che si occupa di seguire e proteggere le persone vulnerabili e che non sono in grado di esprimere la propria volontà. Rimane da capire quale possa essere la soluzione migliore nell’interesse dell’uomo, anche se la legge britannica è chiara.