“Facciamola grossa e non ne parliamo più”. Il boss Totò Riina da mesi minaccia il pm di Palermo Nino di Matteo. E da mesi il padrino di Corleone, detenuto al 41bis, intercettato fa arrivare i suoi ordini di morte dal carcere. Il magistrato, tra l’altro pubblica accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è già sottoposto a un livello eccezionale di protezione. Il boss usa le stesse parole che in un’altra intercettazione aveva usato per i magistrati Falcone e Chinnici: “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. Nelle conversazioni inedite, depositate agli atti del processo, il boss dice anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non deve andare a testimoniare al processo in corso a Palermo. I magistrati di Palermo sono preoccupati perché alcune notizie in possesso di Riina il 14 novembre 2013 non erano ancora state pubblicate sui giornali.
Le informazioni inedite: “Riina conosce notizie mai pubblicate”. C’è preoccupazione in Procura a Palermo perché notizie mai uscite sui giornali sono a conoscenza di Riina e Lorusso. È il 14 novembre del 2013 e gli inquirenti trascrivono l’ennesima intercettazione captata nel cortile del carcere Opera. Quando la notizia delle minacce di Riina al pm Antonino Di Matteo era finita sui giornali, i magistrati decisero di presentarsi in massa in Tribunale per manifestare ai pm del processo per la trattativa tra Stato e mafia la loro solidarietà. Ma la decisione non era stata ancora ufficializzata né era finita sui giornali o in tv e se n’era parlato soltanto via mail tra pm e poche persone. Così è Lorusso ad avvisare il 14 novembre scorso Riina: “…hanno detto che alla prossima udienza ci saranno tutti i pubblici ministeri all’udienza… saranno presenti tutti”. E Riina annuisce: “Ah tutti”. Ma la notizia era circolata solo sulla mailing list interna al Palazzo di giustizia.
Il boss a un esponente della Scu: “Organizziamola questa cosa”. Le nuove minacce risalgono al 16 novembre 2013. Sono le 9.30 e il boss parla ancora con il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso durante l’ora della cosiddetta “socialità” nel carcere milanese di Opera. Mentre Riina dice “organizziamola questa cosa”, tira fuori la mano dal cappotto e gesticolando mima il gesto di fare in fretta, come scrivono gli uomini nella Dia nell’intercettazione depositata questo pomeriggio dai pm nel processo per la trattativa. Riina dimostra di non avere paura di Di Matteo: “Vedi, vedi – dice – si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…”. Poi sul progetto di attentato: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari”. E parla del fallito attentato al vicequestore Rino Germanà, nel trapanese. Il poliziotto si salvò solo perché si era gettato in mare mentre il boss Bagarella gli sparava. Era il 14 settembre del 1992, pochi mesi dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio: “Partivamo la mattina da Palermo a Mazara. C’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo… Era pomeriggio, tutti i giorni andare e venire, da Mazara. A chi hanno fatto spaventare, a nessuno, che poi quello si è buttato a mare. Loro facevano avanti a indietro e gliel’hanno fatta là a Germanà”. “Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica” aveva detto Riina a un esponente della Sacra Corona Unita con cui condivideva l’ora d’aria il 14 novembre dell’anno scorso. Al mafioso pugliese che gli chiedeva come avrebbe fatto ad eliminarlo se l’avessero portato in una località riservata, Riina avrebbe risposto: “Tanto sempre al processo deve venire“. E per questo il magistrato non aveva presenziato all’udienza che si è tenuta a Milano l’11 dicembre scorso quando è stato sentito Giovanni Brusca. In una intervista al Fatto Quotidiano il pm lanciava l’allarme sulla sua vita: “Ha ordinato di uccidermi”.
“Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”dice Riina parlando di Di Matteo con il pugliese. “Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo”, aggiunge. “Mi viene una rabbia, ma perché questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato? A tutti … ammazzarli, proprio andarci armati e vedere … Si ingalluzziscono, proprio si ingalluzziscono… perché c’è la popolazione che li difende, che li aiuta. Quelli però che devono andare a fare la propaganda là, sono quelli che devono andare a fare la propaganda. Hanno lo scopo in testa per uno ‘strumentio’ (strumentalizzazione ndr) completamente e le persone sono con loro…”. Il boss, parlando sempre con Lo Russo, ricorda sorridendo la strage in cui fu ucciso il giudice Rocco Chinnici, saltato in aria per l’esplosione di un’autobomba il 29 luglio del 1983. Il capomafia assistette da lontano un commando di killer di Cosa nostra, che sbalzò in aria il magistrato facendolo poi ricadere a terra: “Quello là saluta e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il Procuratore Generale di Palermo … Per un paio d’anni mi sono divertito. Minchia che gli ho combinato“. E ancora “dobbiamo prendere un provvedimento per voialtri – dice Riina come se parlasse ai magistrati -, uno che vi fa ballare la samba così che vi fa salire nei palazzi e vi fa scendere come vuole, come se fossero formiche”. “Se io restavo sempre fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo al massimo livello” dice Riina. “Minchia, eravamo tutti mafiosi… i capimafia… Totò Riina non li faceva passare…” dice parlando in terza persona.
“Il Presidente non deve testimoniare al processo”. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “non deve testimoniare al processo per la trattativa tra Stato e mafia” risponde il capomafia a Lo Russo che a Riina dice che in televisione sono in tanti i politici a stigmatizzare la richiesta della Procura di ascoltare in aula il Presidente Napolitano. Lo Russo cita anche il vice presidente del Csm Michele Vietti e altri politici, concordi nel ritenere inopportuna la testimonianza di Napolitano. Riina dice: “Fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nelle corna... a questo pubblico ministero di Palermo”. E Lo Russo ribatte: “Sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare”. Riina dice: “Io penso che qualcosa si è rotto…”. E parlando del pm Nino Di Matteo: “Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. È un disgraziato… minchia è intrigante, minchia, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani… ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende…”.
Riina su Messina Denaro: “Pensa solo a se stesso…”. Il padrino di Corleone parla anche del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. In una intercettazione ambientale, fatta dagli investigatori lo scorso 30 ottobre Riina si lamenta: “A me dispiace dirlo questo signor Messina” che per gli inquirenti è Messina Denaro, “questo che fa il latitante che fa questi pali … questi palo eolici… i pali della luce”. E Lo Russo, di rimando, gli dice: “Pensa solo a se stesso… pazienza”. Riina replica: “No, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi, per prendere soldi, ma non si si interessa di…”. Insomma, secondo il boss Rina, Messina Denaro si interesserebbe solo agli affari con l’energia eolica e non dei ‘bisogni’ di Cosa nostra. Riina ricorda: “Ah, se ci fosse suo padre buonanima, perché suo padre era un bravo cristiano, u zu Ciccio era di Castelvetrano, però… e devo dire la verità ha fatto tanti anni di capomandamento a Castelvetrano, a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero… però era un cristiano perfetto, un cristiano, un orologio, lo chiamavo ‘u rugiteddù. Questo qua, questo figlio lo ha dato a me per farne quello che ne dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta, si è messo a fare luce e… tutti i posti a fare luce. Che vuoi, fanno altre persone e a noi ci tengono in galera, sempre in galera, però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare“.
E Riina cita Sciascia e i professionisti dell’Antimafia. C’è spazio anche per la citazione dello scrittore Leonardo Sciascia e i suoi professionisti dell’Antimafia citati in un ormai famoso articolo pubblicato il 10 gennaio del 1987, nei colloqui tra Riina e il compagno d’ora d’aria. I due parlano dei magistrati criticando aspremente il loro operato. “Lui (Sciascia ndr) – dice il pugliese – gli diceva la verità, lui era uno di quelli che teneva il coraggio di parlare…”. E Riina: “Minchia, ma quello era tremendo, lui sembrava un mafioso vero, ma poi quello era una persona studiosa, una persona…”. E l’altro: “Una persona studiosa e onesta”. Riina: “onesta, onesta”. Il pugliese: “… che non si faceva intimorire dai magistrati, che non si faceva intimorire e li chiamava i professionisti dell’antimafia”. Riina ribatte con forza: “Minchia, così sono professionisti dell’antimafia, tanto professionisti che a questi non li poteva vedere, questi li aveva come ‘l’uva da appendere’, ma sempre li attaccava, sempre dalla mattina alla sera, perché vedeva quello che facevano, ci constatava, lo constatava lui, però l’Italia è fatta così…”.