Chi ha visto il Maestro Claudio Abbado entrare nella vasta sala da concerto del Lincoln Center, a New York, e lo ha visto salire sul podio mentre migliaia di persone si alzavano in piedi per un lunghissimo applauso, ha capito, ha saputo che ci sono due Italie. E di una non solo constati l’immenso valore, ma anche un riconoscimento nel mondo che sorpassa di molto l’affanno economico e la cattiva politica che distinguono il nostro Paese.
Poiché l’Italia, nella sua storia ricca, travagliata e sorprendente ha vissuto nello stesso tempo il servilismo più basso e la voce di Dante, la sottomissione a chiunque e la lezione di Machiavelli, la miseria della vita pubblica e i canti (preghiera e invettiva) di Petrarca e di Leopardi, potrete dire che questa immensa sconnessione fra valore delle persone e potere è un tratto tipico che continua a ripetersi.
È stata un sorpresa, però, che in tanti, in Italia, non abbiano visto, nella nomina a senatore a vita di Abbado (come di Renzo Piano, di Elena Cattaneo e di Carlo Rubbia) il tentativo di accostare due parti di un’Italia spaccata, uno che misura solo il Pil e non sa nulla del valore della cultura, da un lato, e coloro che la cultura la fanno e la rappresentano, dall’altro, e a cui l’Italia dedica, se la dedica, solo attenzione e tributo in occasione dei funerali.
Ma certi miseri e strambi commenti su quelle nomine ci ricordano che la spaccatura è stata di molto allargata da un deliberato disprezzo per la cultura, divenuto perfino programma politico (si vedano le manifestazioni e i comportamenti pubblici degli esponenti della Lega), e da un tentativo di liberarsi di pesi che non si possono sopportare, espressi dalla famosa frase “con la cultura non si mangia”. È una frase stupida ma anche cieca perché persino in secoli in cui l’Italia non esisteva come Stato, il suo nome, la sua lingua e il suo talento giravano il mondo, e imponevano una attenzione che altri si conquistavano con la ricchezza e con gli eserciti.
Il Maestro Abbado, che ha diretto tutte le grandi orchestre del mondo e che è stato cittadino amato e celebrato di ogni luogo che avesse cultura musicale, rappresenta uno dei casi più importanti ma anche più interessanti di questo lungo dopoguerra italiano. Certo, Abbado ha diretto la Scala ed è stato amato dagli italiani. Ma, come per ogni grande direttore d’orchestra italiano, dai tempi di Toscanini, tutta la parte grandiosa e celebrata della sua carriera è avvenuta nel mondo e nei Paesi che hanno diffusa educazione musicale, come Germania e Stati Uniti. E da quei Paesi gli viene, in queste ore, il tributo, il riconoscimento, il ricordo più appassionato. Eppure la sordità italiana, politica, ma anche imprenditoriale, anche manageriale, e anche di tutti i tipi di media, non riguarda solo la musica e non è solo la conseguenza della mancanza quasi completa di alfabetizzazione musicale in Italia.
Una profonda diffidenza per la cultura come valore, sia di identificazione che di riconoscimento nel mondo (dal riconoscimento discende tutto, anche la desiderabilità dei prodotti) è diffusa nel nostro Paese. E fa scadere la nostra immensa ricchezza storica, di tutti i tempi e di tutti i livelli dell’archeologia e dell’arte, a fatto ornamentale i cui tutti sono lieti e nessuno si cura. “Sì, noi siamo un ornamento”, avevo sentire dire proprio ad Abbado in America in una delle occasioni in cui, alla New York University, alla Columbia University o alla Juilliard School of Music, ci si riuniva per celebrare il Maestro. “Di un ornamento ci si può vantare, ma non deve avere né costo né ruolo. La cultura, secondo chi orienta l’Italia, è per il tempo libero”. Purtroppo la nomina a senatore a vita (a parte le povere obiezioni politiche) non poteva colmare decenni di totale disattenzione e di incapacità di vedere l’immenso valore economico della cultura e dei grandi della cultura di cui è stato ricco questo Paese. Controprova: che cosa accadrà dell’Orchestra Mozart, una straordinaria selezione di talenti musicali giovani e giovanissimi che Claudio Abbado aveva creato e stava presentando al mondo? Chi impedirà che si sciolga nel nulla della distrazione politica?
Il Fatto Quotidiano, 21 Gennaio 2014